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Fulmine

giovedì, Giugno 23rd, 2011

Sono le 9 del mattino e sono al lavoro come al solito. Bevo il mio lungo caffe’ caldo e lavoro con gusto. La giornata e’ buona. Ascolto stoner metal ad alto volume nelle cuffie giganti che ho collegate alla mia stazione di lavoro. Tempo sostenuto con continuo schiaffeggiamento dei piatti, distorsione rigorosamente fuzz, basso Rickenbacker, Gibson diavoletto. Amplificazione (eccessiva) a valvole, pentatoniche ossessive e crescendo sempre piu’ veloci. La voce di John Garcia e’ a tratti graffiante o profonda, a volte lamentosa o molto maschile. Welcome to Sky Valley. La vista dalla mia finestra da’ sulla collina. Fuori fa freddo. La collina e’ coperta di neve, bianco, grigio, nero, marrone. Tutto sfuma da un colore all’altro in polverose tonalita’ scure, ma e’ il bianco a sovrastare tutto. L’immagine e’ vivida. Il cielo bluastro. La giornata e’ buona. Mi sento bene e lavoro concentrato. Il mio schermo di fronte a me, lo sfondo nero, i caratteri bianchi, le mie dita che si muovono sui tasti velocemente. Ho io il controllo. Mi sento bene. A volte mi sorprendo. Credo di avere imparato qualcosa. Sono single da una settimana dopo che una relazione di tre anni si e’ chiusa quasi inaspettatamente ( quasi ) e nonostante questo la vita non mi preoccupa piu’ di tanto. Dov’e’ finito quel lato di me debole e piagnone? Baah.
It’s only rock and roll. Suona il telefono. Porca puttana. Fulmine. Molto strano.
“Fulmine! Sei pazzo a telefonarmi cosi’. Sul telefono normale e a quest’ora. E sono al lavoro cazzo. Del resto tu non ci sei mai su skype….” Fulmine mi risponde inaspettatamente molto serio.
“Ciao Randa. Ti chiamo perche’ ho bisogno di una cosa da te”. Esticazzi. “Ho bisogno che vieni a Milano tra due settimane. Ho bisogno di incontrarti, di parlare con te, che sei uno dei miei migliori amici. Prendi un aereo e non ti preoccupare, te lo pago io. Ti do i soldi in mano non appena arrivi”. Whaaat? Ci penso 2 secondi e concludo che abbia davvero bisogno di aiuto. E un amico in questi casi dev’essere pronto. Ci ho gia’ pensato fin troppo. “Ok. Daccordo. Adesso do’ un occhiata e prenoto” rispondo sicuro. Mi viene un dubbio. Non sara’ una cazzata delle sue? “Ma che succede Fulmine?” “Non ne voglio parlare adesso.” “E’ una cosa seria? Sei nei guai?” “Hmm. Non ne voglio parlare adesso, ma e’ una cosa seria, si. Molto seria.Ho anche chiamato Kochiss in Spagna e viene anche lui. Ho bisogno di parlare con voi due, che siete i miei migliori amici”. “Okok. Non importa. Ci vediamo tra due settimane.” “Sapevo di poter contare su di te, Randa”. “Chiaro fratello. Ovvio. A presto”. Chiudo la conversazione e mi risveglio nel mondo dei puffi. Mi guardo intorno basito. Improvvisamente non e’ piu’ solo rock and roll. Ma che cazzo sta succedendo? Come cazzo faccio a trovare Il numero di Kochiss? Devo parlare con lui. ADESSO. Quanto tempo e’ che non parlo con Kochiss? Faccio mente locale. Trovo la risposta, e’ facile. Sono passati 4 anni. Mi sale un brivido dietro la testa.
Ricordo bene quella sera. Era estate. Faceva caldo. Io ero completamente lesso nel cervello. Ma non per il caldo. Il mio cervello si cuoceva dal di dentro. Come al solito, una storia d’amore finita malissimo. Ma davvero malissimo. Ero molto innamorato e mi ero preso una bastonata in faccia. 3 anni di convivenza finiti in un lampo. Totalmente solo, lontano da casa, senza un amico, un lavoro, un posto dove andare. Un alieno. La disperazione mi aveva preso nei suoi tentacoli come una piovra. Un sacco di cose brutte erano successe subito dopo. Una dopo l’altra. Scegli un colore. Nero. Era primavera, il risveglio della vita e dei sensi. Il sole. Raggi di luce, giallo, il verde dei prati, il cielo blu punteggiato di nuvole. E io completamente nero. Tornato in Italia per il matrimonio di mio fratello. Giorno dopo giorno dopo giorno, un’ angoscia infinita. “Peace of mind, to find is not easy”. Miasma Blues.

Peace of mind
To find is not easy
When the one you love you don’t trust
When I picture the image of someone else beside her
I see a reflection of violence
And emotion of life that is used
Oh, oh-oh-oh, oh, ooohhh
Oh, oh-oh-oh, oh, ooohhh
I see a reflection of violence
And emotion of life that is used.

You will see
That the mind cannot furnish
Things that you want were gone
What can I see
When the one thing that you had had passed
Is not pretty
You want to love so bad
But you bleed through every time.
Oh, oh-oh-oh, oh, ooohhh
Oh, oh-oh-oh, oh, ooohhh
You want to love so bad
But you bleed every time.

You said, you said you loved me
Yeah, more than you do
And you go and take everything I ever did and give to you
And throw it all away yeah, yeah, yeah
Throw it all away yeah.
Why!? Why!? Why!? Why!?
Why!? Why!?
Why!?

Avevo incontrato Kochiss al Fridaz. Lui e insieme a lui Coriandolo. Il surfista. Pensavo che quella sera sarei andato a divertirmi e distrarmi. Mi sbagliavo di grosso. Sedemmo ai tavolini di metallo che stanno nel cortile. I loro caschi su una sedia al lato, anch’essa di metallo. Birra chiara. A fiumi ma sgasata. Gelata.
Gli parlai della situazione grama. Mi ascoltarono e tacerono. Ogni tanto commentarono telegraficamente. Poi cambiarono discorso. Me la menarono un buon venti minuti con le loro storie, sentite mille e mille volte, secondo cui uno deve lavorare il meno possibile, mettere da parte un bel pacco di soldi, e poi viaggiare verso mete calde ed esotiche. Perche’ quando sei su una spiaggia tropicale e’ li che vivi. E non in questa merda di citta’. La vita e’ breve e bisogna cercare di goderla il piu’ possibile, e i milanesi sono tutti pazzi, corrono dentro la ruota come criceti. Abbruttiti. Stress. Ufficio. Soldi arrivismo. Cattive vibrazioni. Invece io, sono ormai due tre anni che lavoro sei mesi all’anno, e il resto del tempo me la viaggio da paura. Non come voi coglioni.

Ci ho pensato molte volte a quelle tante serate passate con loro ad ascoltarli ripetere queste stesse cose come un mantra, bevendo vino e fumando quantitativi industriali della marijuhana di Kochiss, cresciuta nell’armadio con le lampade al sodio. Finche’ vivevo a Milano ero invidioso. Da quando me ne sono andato trovo che siano discorsi idioti. Ho i miei motivi. Primo: si te la viaggi da paura, ti credi veramente libero e diverso da tutti gli altri ma in verita’ questo modo di vivere e’ un’ esasperata corsa lavorativa per raggiungere l’alienazione. Non hai il coraggio di fare una scelta davvero radicale, e anzi, fai esattamente quello che la cultura mainstream ti dice di fare, cioe’: sgomitare nella citta’ molesta, riempirti le tasche e poi andare in vacanza. Domanda da ufficio: “Che fai queste vacanze?” ed e’ molto meglio se hai una buona risposta. Le vacanze. Quella e’ vita. Discorsi di lavoratori. O in un altra prospettiva, di schiavi. Non di chi vuole andare contro corrente. Secondo: dopo che hai compiuto diciamo 30 anni, sarebbe ora di capire che se non ti migliori, non cresci professionalmente, non sviluppi degli skills, non avrai piu’ la possibilita’ di farlo piu’ tardi. Quando arrivi a 40 e’ troppo tardi. I viaggi possono anche essere formativi o aiutarti a sviluppare una sensibilita’ diversa, o eventualmente essere di ispirazione, ma quasi mai sono rilevanti per il tuo curriculum vitae. Passare 6 mesi all’anno viaggiando, tornare e fare marchette per altri sei mesi per poi ripartire non ti forma. Terzo: questi signori hanno tutti in comune il fatto di vivere in paesi occidentali, e di lavorare nel cosiddetto terziario avanzato. Accumulano denari extra spesso grazie a preesistenti condizioni di vita e di lavoro privilegiate, spesso non determinate da un principio di merito ma piu’ dal supporto della famiglia o dalla scaltrezza di questi soggetti nel gestire i propri preesistenti network di conoscenze professionali. Un po’ mafiette. Poi questi denari vanno a spenderli in paesi del terzo mondo. Abili professionisti, certo. Che pero’ operano in network relativamente esclusivi o moderatamente corrotti. Personaggi che spesso, inconsapevolmente, danno semplicemente sfogo ad appetiti postcolonialisti. Nei paesi poveri anche pochi soldi singnificano grandi privilegi. Viene fuori l’anarchico cazzone che c’e’ in me, e glielo dico. Proprio cosi’.
Nasce una discussione. Coriandolo sostiene che il lavoro fa male, e che questo non lo dice lui ma lo dice Marx. Coriandolo ha studiato filosofia. Ed e’ un surfista. Un “intellettuale” e un personaggio squisito. E un po’ hippiefreak. Io non sono daccordo e gli dico che a me il mio lavoro piace, non mi fa per nulla male, e che al lavoro mi diverto. E che di Marx me ne fotte una sega. Kochiss ha un altra posizione: lui nei paesi del terzo mondo mette anche in piedi progetti di beneficenza. Beneficenza. Mi fa cagare la beneficenza. Non e’ di beneficenza che ha bisogno questo mondo, ma di gente che lotta per cambiare le cose. Bella frase del cazzo. Mi sfilaccio, sono alticcio. Tutto e’ bianco o nero. Io sono sempre nero. Sostengo che e’ meglio prendere delle scelte radicali, come cambiare paese, cambiare aria davvero. Crescere, non andare in vacanza. E che se davvero gli piace l’India o Bali cosi tanto, perche’ diavolo non ci vanno a vivere in pianta stabile?
I due inaspettatamente rispondono torturandomi di battute taglienti e se la ridono a crepapelle. Io incasso e non rido per niente. Loro ci prendono gusto e insistono. Mi sto incazzando di brutto, voglio rispondere a tono ma non voglio farlo nel modo a cui sono abituati. “Ora mi sto irritando” gli dico nel modo piu’ tranquillo che posso. Le parole pero’ escono veloci come un peto, e non affatto con un tono tranquillo. “EEEEEEEH. Adesso non ti scaldare. Dai su si scherza. Noi cosi’ ci passiamo le giornate. Vero Coriandolo?” “Certo. E poi Randa, io non ti vengo a raccontare che questa settimana mi si e’ rotta la frizione del furgone, che mi sono dovuto chiamare il carro attrezzi, che mi sono dovuto pagare un fatturone e che mo sono a piedi. Potrei raccontartelo, ma non lo faccio. E sai perche’? Peche’ non ci voglio pensare. Altrimenti mi imbruttisco. Quindi ci scherzo sopra con Kochiss, lui mi prende per il culo, io ci rido, mi rendo impermeabile, e la merda mi scivola addosso. E poi dopo la guardo la merda, li’ sul pavimento a fianco del mio piede, e mi dico: ma cos’e’ quella? Ah una merda. Vabbe’ va, andiamo avanti. Tu mi pare che ti imbruttisci invece. Rilassati.” Sono sempre alticcio e irritato: “Forse non ci sono piu’ abituato agli scherzi. O forse state davvero esagerando. Forse e’ che a vivere in questa merda di Milano si diventa aggressivi. Altro che scherzi. Forse non ve ne rendete manco conto”. “Ah senti senti. Proprio tu. Vieni dal disastro, dalla devastazione piu’ totale, e ci vieni a dire che sbagliamo. Forse sei tu che hai sbagliato. Qualcosa di sbagliato c’e’ di sicuro, a vivere la’, al freddo. Forse sei tu che hai bisogno di una vacanza invece. Oppure forse dovresti tornare a casa zio, perche’ a guardarti ci vuole poco a capire che non ci stai per un cazzo dentro”. Touche’. A volte e’ a questo che servono gli amici. Anche se non ci fa piacere. Ma io non tornero’ mai indietro.

Arriva una ragazza. Coriandolo sorride ampio e la invita a sedersi con noi.
Lei e’ giovane, bella, con una lungha chioma di fitti ricci di capelli biondi. Il tono delle conversazioni diventa improvvisamente piacevolmente superficiale. Lei ride. Ancora una birra e Kochiss mi riaccompagna a casa in moto. Ci sediamo sul muretto fuori di casa mia e ci fumiamo una sigaretta. Kochiss ora sembra un altra persona. Mi guarda serio e mi parla con calma, e lo fa in un modo che esprime fratellanza e solidarieta’. Parliamo di me, della serata, di come sto. Sono sincero. Kochiss mi capisce. Mi scuso della discussione precedente. “Vedi Randa, sai quella ragazza bionda che hai visto stasera? Quella e’ stata la ragazza di Coriandolo per piu’ di un anno. All’inizio sembrava solo una storia di sesso, lei sembrava pazza di lui e lui di certo non si tirava indietro. Tante scopate. Da quello che so si sono divertiti tanto quei due. Scopatone proprio. Coriandolo dopo un po’ si e’ anche innamorato e le cose sono funzionate bene fino a quando un giorno lei ha scoperto di essere rimasta incinta. Lui avrebbe anche voluto avere un figlio con lei. Non si tirava certo indietro. Sembrava tutto a posto, tutti felici. Un bel giorno lei gli ha detto di non voler avere un figlio con un surfista squattrinato e fricchettone che non ha un futuro nella societa’. Lei viene da una famiglia ultra borghese, e quindi puoi immaginarti il retroterra culturale. Insomma lei per questo ha abortito. E Coriandolo ci e’ rimasto malissmo. Adesso vedi che si frequentano di nuovo, ma e’ solo perche’ a lei piace comunque scopare con lui, diciamo che e’ quello che le interessa. Lui ci sta, ma e’ una relazione malsana. Lui la scopa con rabbia, dentro di se ci sta ancora malissimo. Non so davvero perche’ continui a vederla”.

E questa era stata l’ultima volta che parlai con Kochiss. 4 anni fa. Lui poi ha fatto delle scelte radicali. Si e’ coinvolto in organizzazioni non governative, ha viaggiato in Africa dove ha costruito pozzi e scuole. Tuttora non lavora. A trovare il suo numero di telefono ci impiego 15 minuti. Checcazzo, manco l’FBI. Ho tentacoli dappertutto. “Pronto, Kochiss” “Uee Randa”.
I convenevoli di rito e poi andiamo al sodo. “Allora che cazzo sta succedendo?” “Non ne ho la piu’ pallida idea.” “Ma secondo te cosa puo’ essere?” “Non lo so. O e’ un problema di salute, o ha bisogno di soldi, oppure guarda Randa non ne ho proprio idea”.
“Io non vorrei che fosse una megastronzata. Lui ne e’ capace. Ti giuro che se arrivo a Milano e scopro che e’ tutto perche’ dovevo essere presente a una festa di compleanno o una cosa del genere io lo prendo a bastonate. Guarda Kochiss, io metto il manganello in valigia.” “AHAHAHAH”. Ridiamo. “Ci vediamo comunque tra due settimane” BELLA.

Fulmine. Capace di tutto. Che ti sta succedendo?

Fulmine e Kochiss erano stati grandi amici. Compagni di sbornie, di lunghissime vacanze scolastiche di tre mesi in Grecia, di giornate passate al parco. Compagni di viaggio, e non solo in senso fisico, ma anche in senso figurato. Le avventure dei giovani freak brothers. In LSD. Un bel sabato di primavera mandarono giu’ un bel rettangolino di cartone con una figurina stampigliata sopra a colori vivi. Erano al parco. Fumate, risate. All’improvviso il mondo era scomparso e al suo posto si erano ritrovati su Marte. In vespa. Se ne andarono dal parco in vespa. Kochiss guidava e Fulmine sedeva dietro di lui. Dentro ai loro occhi un caleidoscopio di triangoli colorati che si modificavano ruotando su stessi. Equilatero, Scaleno, Isoscele, Acutangolo, Ottusangolo… Al centro di ogni triangolo una sfera che ruota. Dentro alla sfera altri triangoli che ruotano. Dentro i triangoli una sfera che ruota. Kochiss e Fulmine hanno inspiegabilmente assolutamente la stessa identica allucinazione. E guidano la vespa. Ma non sanno dove stanno andando.
All’improvviso si rendono conto che stanno girando in tondo intorno ad un isolato. O cosi’ pensano. Lo stesso incrocio. Lo stesso semaforo. La stessa via. E poi di nuovo. Lo stesso incrocio, lo stesso semaforo. La stessa via. Non e’ possibile. I due si fermano. Panico. Dove andiamo? Cosa facciamo? Qualcuno li salvera’. Una telefonata a Valeria. Chissa’ cosa e’ successo a Valeria. Nessuno ne sa piu’ nulla di lei. Ovviamente ne ero innamorato.

Ricordo molto bene il giorno in cui conobbi Fulmine.
Avevo incontrato Fulmine fuori dalla sua scuola. Io stavo bigiando la mia. Lo conoscevo di vista. Spesso andavo fuori dalla sua scuola quando bigiavo, perche’ li sapevo che avrei incontrato qualcuno con cui avrei passato la giornata. Nella mia scuola non bigiava nessuno. E non chiedetemi perche’, me ne vergogno. Fulmine lo conoscevo di vista. Lo aggancio e scopro che anche lui non ha nessuna voglia di andare a scuola oggi. C’e’ un compito e non e’ preparato. Lo stesso motivo per cui io mi trovo li’. Diventiamo subito amici. Facciamo colazione al bar e parliamo. Rimango subito affascinato da Fulmine, e lui da me.
Fulmine e’ molto sveglio, e ama la cultura, l’arte, la letteratura, la musica. Ed e’ molto simpatico, molto gentile, molto vivace. Fulmine e’ un bellissimo ragazzo. Ha due occhi blu molto profondi, un viso da statua greca, un tappeto di capelli color castagno tagliati corti, a macchinetta, stile Marines. Fulmine indossa dei pantaloni molto attillati di velluto a coste, una felpa Walls con il cappuccio imbottita di un tappeto di pelo sintetico che ricorda i suoi capelli, e delle scarpe da operaio. Su una scarpa qualcuno ha scritto con una penna a sfera “LSD”. Andiamo in centro a cambiare dei soldi stranieri, che io ho rubato a degli amici ad una festa. Che bastardo di merda. Amici amici, ti fotto la bici. Troviamo un ufficio di cambio in Piazza Duomo. Ha un banco in legno
scuro non verniciato, opaco. Parlo con l’impiegato attraverso la finestra in un separe’ di vetro bianco, anch’esso opaco. Ci cambiano le banconote ma non le monete. Mavaa’? Non sono tanti soldi, ma sono abbastanza per comprare del fumo. Non abbiamo dovuto parlare a lungo per capire che e’ quello che abbiamo voglia di fare stamattina. La giornata e’ buona. Dove comprare del fumo a Milano un lunedi’ mattina? Semplice. Nel cortile di un istituto tecnico. All’intervallo delle dieci e mezza….

Cosi’ avevo conosciuto Fulmine. E cosi’ era iniziata una lunga e profonda amicizia. Tramite lui conobbi Kochiss, Valeria, e tanti altri amici. Kochiss abitava in una mansarda in pieno centro. Piena zeppa di quadri di Fontana, di espressionisti francesi, e anche di un casino di questo e di quello. La madre di Kochiss e’ un pirata. Una donna con un erre moscia impressionante tanto quanto la sua aggressivita’ nel mercanteggiamento di pezzi d’arte. Un grande cuore. Ho bevuto tanti bicchieri con lei. Ci faceva tante domande e rideva. Rideva sempre. E poi ogni tanto gridava dietro a Kochiss. KOCHISS! La madre di Kochiss a volte era anche invitata alle sue feste.
Ricordo tante feste a casa di Kochiss. Musica ad alto volume, vino a fiumi. A volte uscivamo dal lucernario per andare a fumare i Cylum sul tetto. Mentre da sotto impazzavano i NOFX. Io non amavo il punk. Ero un metallaro, o uno STONER. “Stoner Rock!” Ricordo la faccia di Fulmine quando gliene parlai. Nei suoi occhi baleno’ un lampo e un sorrisetto satanico gli si stampiglio’ sul viso. Stoner rock! Muhahahah. La stessa musica che stavo ascoltando oggi. Sono passati, supergiu’, 17 anni. Fulmine e’ un tipo che ama sorprendere gli altri. Esagera. Esagera sempre. Se fa un cylum, ci mette un grammo di fumo. Se sono le 4 del mattino e sono tutti ubriachi e mezzi addormentati, lui deve aprire una bottiglia magnum di champagne francese. ADESSO. Mi e’ venuta voglia. E lasciami fare dai, per una volta. Di cose pazze insieme ne abbiamo fatte. E quasi sempre c’e’ stato di mezzo del fumo o del vino. Non ricordo una volta in cui io o lui siamo stati sobri insieme. Fulmine mi ha sempre voluto bene. A volte piu’ di quanto gliene volessi io. Io e fulmine siamo stati incollati insieme per degli anni come due adesivi. Giravano voci che fossimo omosessuali. Io ero troppo ingenuo per essere omosessuale.
Abbiamo fatto cose che non avremmo dovuto fare. Viaggi acidi. Viaggi non acidi. Quantita’ industriali di hascisc e marijuhana. Non scherzo. Industriali. Cose tipo 20 cylum al giorno, certi giorni. E al ventesimo, quando ormai era notte inoltrata, ne avremmo fumato un altro, se ne avessimo avuta la forza. Rave. Goa trance. Feste sull’argine del Po con il generatore. Techno sotto il cielo, bonfire, stelle, galassie e nebulose. Con grande gioia e spensieratezza. A volte pure troppa. Ricordo una volta in cui andammo a Bologna un sabato sera, con la sua Panda. Bevemmo tre bottiglie di vino sulla strada. Andammo ad un rave party. Ballammo tutta la notte. Fumammo molti cylum. Poi alle tre di notte riprendemmo l’autostrada e riguidammo fino a Milano fumando tranquillamente canne di charas. Quando arrivammo in tangenziale ci perdemmo e stavamo per finire sulla Milano Venezia. E fu un miracolo se Fulmine non si addormento’ al volante. Ripensandoci sarebbe potuto finire in tragedia. Ma noi eravamo spensierati, ed io ero sempre attento e paranoico su ogni dettaglio, perche’ io non ero uno stupido. Yes. E non dormivo MAI se non ero nel mio letto.

Ricordo una volta che andai a trovare Fulmine a Torino. In quel periodo lui studiava all’universita’ e viveva in una casa di ringhiera, un appartamento in condivisione pieno di vecchi mobili raccattati per strada. Fulmine e’ un uomo che si dedica ai suoi interessi e alle sue passioni in modo metodico e zelante. E ossessivo. In quel periodo la sua passione era la coltivazione idroponica di Cannabis Sativa. Tanto per cambiare. Sapeva tutto sull’argomento e aveva letto 3 4 grossi libri molto specifici e tecnici di botanici olandesi e californiani. In un armadio a muro aveva messo in piedi una macchina infernale che in 40 giorni gli dava un kilogrammo di Marijuhana con dei livelli di THC preoccupanti. Parliamo di 4-5 piante di Marijuhana ogni mese, alte quasi un metro, prive quasi di foglie, e costituite quasi completamente da una enorme infiorescenza imperlata di nettare, che e’ principio attivo allo stato puro. Il frigorifero di casa ne era strapieno. Il cassetto al piano inferiore, quello per le verdure, per intenderci, era colmo di cime di quella Marijuhana super potente. Ne avevano cosi’ tanta che francamente era problematico gestirla. Fulmine fumava un grammo di Marijuhana da solo, senza tabacco, e senza neanche spezzettare le infiorescenze. Le prendeva cosi’ com’erano, le pressava nel braciere di un bhong, una pipa ad acqua, e le fumava in un solo tiro, sbuffando nuvole di fumo bianco e rimanendo con il fiatone per 5 minuti, mentre mi guardava esterrefatto. “Vuoi farti una bonga?” mi diceva con accento e cantata piemontese, come se mi stesse offrendo della bagnacauda. Lo odiavo quell’accento piemontese.

Nel corso degli anni Fulmine divento’ gradualmente sempre piu’ intenso, a volte quasi insopportabile. Non fraintendetemi, Fulmine ha un buon temperamento, sempre bonario, ma non smette mai di parlare, fuma cannoni continuamente ( perche’ le sigarette fanno male), parla a ruota libera e non ti molla un attimo. Fulmine e’ talmente preso dai suoi progetti e dai suoi interessi che non riesce a parlare d’altro. Parla di se’ e non ti chiede nulla di quello che pensi o fai tu. Parla parla parla con sincerita’ e passione, e scava nello stesso punto fino all’ossessione. Ti tiene incollato al suo discorso e non ti lascia parlare di altro. Lo fa comunque con affetto. E’ caciarone, forse a volte e’ un po’ insensibile o poco attento alle conseguenze filosofiche o etiche dei suoi discorsi, ma comunque mai aggressivo o cattivo. Un po’ caotico e un po’ rustico diciamo. Fulmine e’ buono. Fulmine ha voglia di parlare. Molta voglia di parlare. Voglio molto bene a Fulmine. Uno dei pochi che, durante questi sette anni in cui sono via dall’Italia, mi e’ venuto a trovare.
Negli ultimi anni Fulmine si e’ raddrizzato molto, ma anche imborghesito un bel po’. Non che non lo fosse dall’inizio, e non che non lo sia anche io. Ma negli ultimi anni e’ diventato una specie di yuppie, forse anche a sua insaputa. Il vento della vita lo ha portato a diventare un project manager di discreto successo, Fulmine e’ un tecnocrate e viene assunto da aziende molto importanti per mettere ordine in situazioni tecniche complicate. E’ un lavoro di responsabilita’ e questo ha avuto un effetto molto positivo sul suo conto in banca. Fulmine si vende bene, lo pagano tanto, e questo per lui e’ un boost per il suo ego. Nella sua vita ci sono sopratutto viaggi patinati, bottiglie di vini pregiati, gadget tecnologici, una buona dose di orgoglio, un certo materialismo nichilista, anche se bonario, e la sua fidanzata, o sarebbe piu’ corretto dire moglie, della quale non ho nessuna voglia di parlare.

Fulmine ha fatto piu’ strada di me, ma e’ perlopiu’ ripiegato su se stesso. Tutto ruota intorno al suo piccolo mondo privato e alla realizzazione del suo ego e dei suoi desideri. Le ultime volte che lo ho incontrato sono rimasto colpito da come non sia piu’ possibile andare in profondita’ parlando con lui. La comunicazione e’ superficiale e il tema e’ concreto e personale. Una noia. Non ci si schioda dai suoi viaggi e dal suo lavoro. Si tratta di vincere o perdere. La bellezza e’ un desiderio soddisfatto. Non altro. E ovviamente, non avrai mai il tempo di dire qualcosa su di te. A meno che non hai davvero bisogno di aiuto. E’ una forma di comunicazione che va in una sola direzione: da lui a te. Prendere o lasciare. Abbiamo passato una notte di capodanno a vedere le foto delle sue vacanze. TUTTE le foto delle sue vacanze degli ultimi 2 anni: India, Borneo, Bali. E sti gran cazzi.
E pero’ ti voglio bene.

In un umore pessimo prendo il volo low-cost per Milano. Non tutte le giornate sono buone, specie quando in ballo ci sono separazioni e grossi cambiamenti nella sfera affettiva. Sul volo c’e’ un casino tremendo. Io ho dormito poco, lavorato tanto, e sto andando verso lo sconosciuto. Sono triste e un po’ spaventato. La gente che si ubriaca sul volo mi infastidisce, come mi infastidiscono i bambini che strillano, il continuo martellamento promozionale della compagnia aerea piu’ vergognosa al mondo, e gli italiani appassionati di sci che parlano a voce alta degli appena finiti campionati mondiali: dei tempi, degli allenatori, dei preparatori, degli ski men, di questo o quell’atleta, di questo o quell’impianto a Bergamo, in Val Gardena o sa dio dove. Tutti hanno accento bergamasco o bresciano e sono di una pallosita’ infernale. Vi odio tutti. Dal primo all’ultimo. E ho voglia di piangere. Leggo un libro e cerco di respirare correttamente. Mi dico che non e’ niente e che tutto andra’ bene. Spero di mangiare qualcosa di buono quando arrivo a Milano. Fulmine ha promesso di venirmi a prendere. Non era necessario. E di portarmi a cena. Questo si’, era proprio necessario.

Esco dall’ aereoporto che e’ notte. Come al solito la Lombardia mi accoglie con un odore di letame misto a qualcosa tra la gomma bruciata e l’asfalto. Balsamico come un’ inalazione di gas di scarico di un autobus. Non fa freddo, non fa caldo. Bene. Per lo meno ho i vestiti giusti. Incontro Fulmine. E’ quello di sempre. Ci abbracciamo. E’ contento di vedermi. E’ bello rivedersi.
Usciamo dall’ aereoporto e lo blocco mentre sta gia’ correndo alla sua auto. Fammi fumare una sigaretta. “Certo zio. Fai con comodo”.Dentro la mia testa un mantra “speriamo che non inizi a dirmi tutto adesso, dammi il tempo di ambientarmi cazzo. Dammi il tempo, dammi il tempo.”

“Ho un tumore al cervello”. Mi dice mentre mettiamo il piede nel parcheggio.

“Ecco, grazie”. Penso. Puntuale come un attacco di diarrea. Affronto la notizia nel cinismo piu’ totale. Non provo niente. Non fisicamente. Ma il concetto urla nella mia mente. Come una motosega in una nursery. E’ la sottile e fredda sensazione di armageddon. Un lampo bianco che non fa nessun rumore. Il taglio freddo di una lama affilata. Un pezzo di carne cade nel buco. Non senti il tonfo. E’ andato. Inutile pensare a com’era prima. Cosi’ e’ adesso.