Sciami

Sono seduto alla scrivania di Cornelia. Sono venuta a trovarla in Cina.
C’e’ una lampada rossa a fianco dello schermo, a forma di fiore di loto. Sto armeggiando per cercare di far funzionare la VPN che porca miseria non riesco manco a loggarmi sul sito della compagnia aerea con la quale sono arrivato pochi giorni fa.
Guardo la lampada e c’e’ una formica volante che si e’ posata alla base dello stelo. Lentamente zampetta sul bordo rotondo seguendone i confini. Ne atterra un altra. Un’altra vola tra me e lo schermo del mio laptop. Siamo circondati. Intorno alle gambe del tavolo sul pavimento ci sono decine e decine di formiche volanti che non volano, ma camminano lentamente senza una direzione precisa.
Vogliono uscire.

Non e’ la prima volta che sono in Asia.
Non e’ la prima volta che incontro gli insetti di questo continente. Le volte precedenti non sono state piacevoli. Erano insetti infidi che succhiano il sangue degli uomini mentre questi sono nella fase piu’ profonda del sonno. Insetti che strisciano dai loro nascondigli e si infilano nel letto per nutrirsi del sangue umano. Animali tanto spiacevoli quanto perfetti nel design della loro fisiologia e del loro ciclo biologico. Ho i brividi solo a pensarci.
Le formiche alate non sono cosi’. Sono sciami, che lasciano la propria casa, per cercarne una nuova. A casa le altre formiche sono al lavoro. Cercano cibo, lo immagazzinano, nutrono i loro piccoli e accudiscono la regina. Le formiche alate sono l’avanguardia, ma queste sono estremamente lente. Hanno le ali ma non volano, o meglio, solo una piccola parte di loro vola. Sono delle cazzo di formiche rincoglionite.

Cornelia imbraccia l’aspirapolvere. Mi alzo e l’aiuto. Spero che il numero delle formiche non aumenti, perche’ gia’ ce ne sono sui muri e sul pavimento, rincoglionite formiche alate che procedono in traiettorie a raggiera dal luogo da cui provengono: una crepa tra il pavimento del soppalco e la trave che lo sorregge. Le risucchiamo come nulla fosse, a centinaia. In pochi minuti le abbiamo risucchiate tutte. Ridiamo. Cornelia e’ piccola e forte, intelligente, motivata, positiva. Cornelia e’ una macchina da guerra.
Non sa veramente perche’ e’ qui, ma e’ qui e fa del suo meglio. La sua vita e’ un ingranaggio oliato. Non teme nessuno, non teme nemmeno gli sbirri cinesi, quando andiamo a consegnare i documenti per la mia permanenza e quelli li rifiutano perche’ manca questo o quell’altro modulo. Cornelia sembra in pace, formica guerriera. Anche se non lo e’. Come puo’ una formica guerriera essere in pace.

Sciami.
La cina e’ un formicaio enorme, in cui formiche spesso graziose e quasi sempre pacifiche sciamano ogni giorno da casa al lavoro, dal lavoro a casa. Animali forti, determinati che seguono traiettorie precise, anche se non sempre decise da loro. Centinaia in fila per uscire e centinaia in fila per rientrare.

Questa citta’ e’ enorme. Quando sull’autobus scassato che ti porta dall’aeroporto al centro guardi fuori dal finestrino e’ un susseguirsi di case scassate, fabbricozzi grigi, e wasteland: appezzamenti di terreno circondati da cancellate arrugginite o muretti di blocchi di cemento, e spazzatura, accozzaglia di rottami metallici, e strade che li attraversano. E poi palazzoni grigi di trenta piani, tanto slanciati verso il cielo quanto tetri del proprio colore slavato e bruciato dal sole, ad ogni finestra la ventola rettangolare di un condizionatore. Li’ dentro vivono tante formiche, formiche senza ali.
E poi vedi il centro in lontananza, con dei grattacieli di acciaio e vetro che si stagliano verso il cielo, e il fiume che gli scorre alla base, con chiatte stracariche la cui linea di galleggiamento e’ pericolosamente alta sullo scafo. Fossimo in mare, sarebbe bene andare in porto rapidamente, perche’ anche una moderata burrasca da quattro soldi potrebbe sopraffare molto facilmente una barca cosi’ bassa sulla superficie, cosi’ pesante. Un onda di pochi metri la ribalterebbe. Ma il fiume e’ largo e pacifico, e le acque si aprono a ventaglio quando la prua rotonda e nera viene spinta in avanti da quegli enormi motori diesel. Non sono barche che andranno in mare.
L’aria non e’ limpida, quando c’e’ il sole sembra che comunque le cose siano poco visibili. Il traffico e il frastuono sono assordanti.

Da quando sono qui, mi sento molto in ansia.

A dire la verita’, e’ iniziata la notte prima della partenza.
Mia madre al telefono che mi parla, mentre sono sdraiato nel mio letto, a casa.
Mi dice che ho deciso di stare via troppo a lungo.

“Sarebbero bastati 10 giorni”.
Mamma, vado fino in Cina, 10 giorni sarebbe stato un periodo troppo corto.

“Quando sei li’, mandami una mail ogni tanto, telefonami, tienimi informata” .
Mamma, spero di riuscirci davvero, ma in Cina c’e’ un problema con la rete, perche’ l’accesso ai servizi basati in occidente e’ spesso bloccato per via della censura. Non so di preciso quanto riusciro’ ad accedere a internet e come.
“Mi bastano due righe”.

Sento che mi sto irritando.
Si’, cerchero’ senz’altro di contattarti, ma non sono sicuro che riusciro’.
“Vai cosi’ lontano, tienimi informata”.
Ma non capisci che c’e’ la censura, che non so se riusciro’….
“Sappi che io sono qui che aspetto”. Non ha capito e comunque non gliene fotte un cazzo. E’ in ansia.
E ha ragione. Anche io sono un po’ preoccupato, o meglio, ho una certa cacarella. Ma cerco di non pensarci, perche’ tanto ormai e’ troppo tardi, e poi, dopo tutto, non e’ altro che un’altra citta’ da esplorare. E’ in Cina, ma non ha senso avere paura di cio’ che non si conosce. Quando sei in vacanza puoi fare quello che vuoi, anche nulla. E una grande citta’ ha di sicuro qualcosa da offrire in qualunque momento. Basta semplicemente seguire le indicazioni, e tra le mille offerte ce ne sara’ senz’altro una che cadra’ a fagiolo.

Bene. Peccato che forse invece avesse ragione lei. 17 giorni sono troppi.

Quando mi sveglio alla mattina non sono felice di essere qui. Mi accorgo che devo forzarmi ad uscire e quando sono per strada e ho per esempio fame, non mi sento di osare a mangiare in posti per cinesi.
Perche’? Non ne ho idea. E sono qui da quattro giorni e mi sto chiedendo se non sia il caso di tornare indietro prima del tempo.
Quando? Beh, non subito, ma per esempio tra cinque o sei giorni sarebbe ok, cioe’ esattamente come mia madre aveva detto. Perche’?
Beh qualche motivo c’e’. Cordelia dice che alcune persone che ha conosciuto sono volute scappare il giorno dopo l’arrivo. Non sono solo….

Oggi sono andato a vedere una esposizione di arte moderna. E’ una cosa molto comune in tutto il mondo, che una citta’ rappresentativa di un paese abbia un centro dedicato all’arte moderna, normalmente ai margini della citta’, se non in un comune adiacente. E’ questo il caso di Copenhagen, per esempio. E anche Oslo. Penso che sia lo stesso per altre citta’, forse persino New York.
Bene, mi sono detto, andiamo a vedere qualcosa di bello che mi sollevi il morale. E’ una cosa che faccio sempre. Se sono un po’ difficile con me stesso vado a vedere dell’arte.

Ho preso la metropolitana fino al centro, per poi cambiare su una linea disegnata lungo la circonvallazione, diciamo. Quando il vagone e’ arrivato c’e’ stato l’assalto. I cinesi non aspettano che altri scendano prima di salire , quindi gia’ si crea una situazione un po’ complicata quando la gente e’ tanta, perche’ chi vuole scendere si scontra con chi vuole salire e chi spinge di piu’ vince. In piu’ se stai provando a salire non puoi fare altro che seguire il flusso delle persone (altrimenti non riuscirai mai a salire sul vagone), e non hai scelta, dato che probabilmente ti trovi tra il vagone e le persone che ovviamente ti spingono alle tue spalle.

Una volta dentro normalmente faccio in modo di essere vicino alla porta per due motivi. Il primo e’ riuscire a scendere alla fermata giusta, per i motivi appena descritti. Il secondo e’ riuscire a verificare sia che sto andando effettivamente nella direzione giusta (non si sa mai), che stia decidendo di scendere alla fermata giusta: i nomi delle fermate mi sono per il momento impossibili da ricordare e le insegne alle stazioni sono ideogrammi. La dicitura in inglese sottostante e’ in caratteri troppo piccoli da poter essere letti da un punto di osservazione piu’ interno al vagone.

Una volta dentro le porte si chiudono e tutti prendono un respirone. Commenti a bassa voce in cinese.
Per qualche secondo non succede nulla, il treno rimane immobile e ti chiedi se partira’ mai.
Nel frattempo hai sempre un totale di persone che ti si schiacciano addosso.
Venti, forse trenta secondi. E’ rotto? Rimarremo qui? No, e’ solo uno iato in un momento di caos. Il treno riparte e le voci degli annunci automatici descrivono la direzione del treno e la posizione sul percorso in cinese ed inglese. Momenti di verifica per l’italiano perso dentro la cina e dentro se stesso.

Arrivato alla fermata giusta sono uscito e mi sono trovato in una periferia brutale. La fermata e’ in una rotonda, con dei palazzi arrugginiti alle spalle, che al piano terra hanno dei negozi di prodotti apple e samsung, tipo centro commerciale. Davanti a me la circonvalla.

La circonvallazione e’ a due livelli, con un livello superiore su una sopraelevata in acciaio, e il livello inferiore al pianterreno. Su entrambi i livelli ci sono due triple corsie sulle quali corrono auto motorini e autobus in gruppi serrati di veicoli. Il rumore e’ assordante.
A un lato della strada palazzoni bianchi e anonimi, tipo Neo Tokyo, le cui migliaia di finestre sembrano sigillate da anni dalla protezione di una tapparella e dalle ventole dei condizionatori. Le finestre sono migliaia e sono tutte uguali, e tutte un po’ annerite, e non penseresti mai che dietro ad ognuna c’e’ la vita di una famiglia o di una persona sola, anche perche’ viste dall’esterno sembrano piu’ le cellette di un favo che non il confine teorico e pratico di un ambiente privato e umano. Alla base dei palazzi un marciapiede largo, pavimentato a piastrelle, senza nessun arredo urbano. Separano i palazzi spianate di wasteland. Dall’altro lato della strada una fila di alberi semi-anneriti protegge il marciapiede dal traffico, e il piano terra di palazzi relativamente piu’ bassi, ma altrettanto disumani. Tutte le finestre hanno un balcone protetto da una specie di serra di vetro, da cui si estendono degli stendipanni. Le capsule quadrate dei balconi sono serrate le une sulle altre e qualche giacca appesa e suppellettili di vario tipo sono visibili.
I negozi del piano terra sono di tipo variabile, ma l’alternanza e’ tra officine e altre piccole industrie di tipo pesante ( elettrauto, costruzione di serramenti, magazzini di merci ) e parrucchieri, qualche centro massaggi, cubicoli in cui ci si puo’ fermare a mangiare una ciotola di noodles, e qualcosa che assomiglia a un bar. Insegne a led lampeggianti e qualche vecchia luce al neon. Tra il trambusto, la sensazione di trovarsi al bordo di un autostrada, e l’estetica del contorno rimanente che e’ decisamente squallida non posso fare altro che camminare di buon passo concentrato sulla mia destinazione. Non e’ nulla di preoccupante, solo poco piacevole. A uno degli incroci qualcuno ha il coraggio di avere un barbecue sul marciapiedi, con un capannello di vecchi e meno vecchi che parlano ad alta voce e si fanno battute a vicenda dandosi pacche sulle spalle. Dopo cinquecento metri c’e’ un grande segnale stradale che indica la direzione da prendere per chi come me e’ intenzionato ad visitare il centro. Ci si allontana dalla circonvallazione per andare su una strada secondaria che va verso l’esterno, entrando in una zona in cui non c’e’ nulla. A un lato della strada un muro in cemento sovrastato da una protezione ad altra tensione ( simile a quelle che si usano in europa nelle zone rurali per contenere le mandrie ), dall’altro lato degli uffici e gli immancabili lavori di costruzione, perche’ in Cina si costruisce ovunque. Vedo il posto dalla distanza. E’ enorme. Un cubo di cemento che sembra un’ex centrale elettrica, le cui dimensioni sono talmente grandi da sembrare esagerate, con un grande camino che lo sovrasta. Sono preso bene.

Ci vogliono 5 minuti a piedi solo per fare il giro del palazzo e trovare l’ingresso. Fuori dalle porte il panorama non e’ dei piu’ bucolici. Una fila di palazzoni grigi che sembrano li da almeno 30 anni fanno da tessuto connettivo tra il cielo grigio e la terra nera. Piu’ a sud il fiume, con gruppi di operai che lavorano lungo le banchine indossando caschetti gialli e stivali di gomma. Le immancabili chiatte.

C’e’ un controllo di sicurezza con due persone vestite in un uniforme nera. Mi indicano che devo far passare la giacca e la borsa dentro uno scanner a raggi X ma sembrano guardare nel vuoto. Sembrano completamente disinteressati a quello che stanno facendo.
Dentro, gli spazi sono spropositati. Sulla sinistra si sentono degli operai lavorare da qualche parte, con il rumore dei colpi di martello che riverberano nella stanza. Ma loro non si vedono, perche’ la stanza e’ buia. Sulla destra, ben illuminato, il banco della reception, ma l’ingresso e’ gratuito. Dopo pochi secondi mi rendo conto che qualcosa non va. Mi mandano al quinto piano, con un ascensore nel quale c’e’ un cartello che dice di andare al settimo piano per poi scendere al quinto.
Arrivato al settimo piano mi trovo nell’ingresso di un ristorante, con un uomo in divisa bianca e cappello da cuoco nell’ingresso che guarda fisso nel display del telefono. Gia’ mi sto incazzando dato che sono venuto fino a qui per vedere dell’arte moderna e mi trovo in un ristorante asian fusion con il logo in metallo lucidato. Scendo al quinto piano e mi ritrovo in un enorme stanza vuota. Ci sono le indicazioni per la mostra, di un pittore astratto, ovviamente cinese. Di fianco all’ingresso della mostra c’e’ una grande didascalia con una nota dell’autore. Piu’ o meno recita cosi’: “Quando visitate questa mostra non chiedetevi che significato abbiano le mie opere. Non produco arte con l’intenzione di comunicare un messaggio specifico, ma semplicemente per dare espressione ai miei sentimenti”. Direi anche grazie al cazzo, ma probabilmente il pubblico cinese ha bisogno di questo tipo di spiegazione. I quadri non sono male, ma non sono particolarmente ispirato. Ci sono giovani ragazze vestiti con abiti trendy che deambulano facendo foto coi telefonini, sembrano decisamente provenire dai piani alti della societa’, e mi chiedo se non siano venute in taxi. Una coppia di persone piu’ anziane sembra avere una discussione in cui lui, il marito sembra lamentarsi con voce irritata. Mi faccio il trip che stia dicendo “sono capace anch’io a fare sti quadri”. Lei gli risponde con un tono morbido e moderato, e sembra un po’ dispiaciuta. Mi rompo i coglioni molto velocemente e ho una sensazione di ansia che mi cresce dentro. Sono comunque quattro sale, e nell’ultima sala c’e’ un dipinto molto grande, con sfondo bianco e Mao in mezzo, vestito di un uniforme grigia. Mi chiedo dove sia finita l’idea dell’arte astratta che non deve avere dei significati precisi. Esco. Ora lo so, che forse l’arte moderna non e’ cosa in Cina. Come accettare una forma d’arte che da’ espressione ai propri sentimenti senza utilizzare figure retoriche? Vedi anche che possa succedere, un bel Mao alla fine ci vuole, giusto per star tranquilli…

C’e’ un negozietto di regali in mezzo a una serie di stanze completamente vuote, con le ragazze chic che fanno acquisti. Ci sono indicazioni per un altra mostra. Le seguo. Mi ritrovo in una sala bianca vuota che da sulla terrazza. Alle pareti ci sono diverse didascalie di opere che pero’ non ci sono. In mezzo al pavimento della stanza ci sono quelle che sembrano due piscine a idromassaggio, fatte di mattoni bianchi, vuote. Dentro a una delle due vasche una ragazza giovane posa per il fidanzato che le fa foto con il telefono. Mi chiedo se per caso le piscine non siano le opere, ma lo escludo dato che sembrano parte integrante del palazzo, e in piu’ sembrano in uno stato di abbandono.
Chi cazzo e’ pero’ che ha deciso di costruire due piscine rotonde al quinto piano di un’ex centrale elettrica? Sono confuso.
Ma sono anche quasi incazzato.

Esco sulla terrazza e il panorama e’ surreale. Lungo la ringhiera ci sono altre coppiette che si sbaciucchiano mentre all’orizzonte si vede il fiume e dei grattacieli in cemento, con lo stadio alle loro spalle. Piu’ in la’ verso nord si intravede il centro, semi nascosto da una coltre di nubi gassose. Siamo quasi al livello della parte alta del camino. Vedo l’insegna del ristorante fusion, che mi impedisce di fare una foto che non sembri inutile. Faccio delle foto al panorama, con le chiatte e i grattacieli e mi chiedo dove avro’ il coraggio di pubblicarle. Trovo il panorama talmente triste da non comunicare nemmeno tristezza. L’immagine non ha molto contrasto, i colori sono tenui e freddi. La natura sembra sottomessa alla mano dell’uomo, mano che non ha nemmeno saputo produrre qualcosa di bello, visto lo stato di anonimo e freddo funzionalismo che parte dei palazzi sembra comunicare, sempre che non siano proprio in uno stato semi-fatiscente. Penso agli sciami di formiche volanti. Per loro questa e’ casa. Non penso che provino le stesse mie emozioni nel relazionarsi con questa realta’.

Rifaccio la strada a ritroso e a lato della strada c’e’ un taxi. Guardo dentro e c’e’ il conducente, un uomo coi capelli bianchi, molto corti e la faccia stanca, anziana. Mi fa cenno di sedermi. Apro la portiera e mi siedo. Mi accorgo che e’ chiuso dentro in una calotta di plastica trasparente. Gli chiedo se parla Inglese. Non e’ in grado di rispondere. Farfuglia qualcosa, due parole, senza che sembri voler fare una domanda o dire qualcosa di preciso. Gli richiedo se parla Inglese, come un babbo. Mi sento babbo.
Gli dico l’indirizzo dove voglio andare. Il posto ha un nome cinese, ma probabilmente non lo sto pronunciando correttamente, dato che il tipo scuote la testa. Esco dal taxi maledicendo dio. Rifaccio tutta la strada a ritroso fino alla metropolitana, e mi passa abbastanza velocemente.

Ora, non e’ che i quartieri dormitorio o i panorami post apocalittici siano il motivo della mia ansia.
E nemmeno necessariamente l’incontro con una cultura diversa, per quanto questo possa essere complicato o frustrante a volte.
E’ piu’ il non riuscire a trovare un contesto per la mia pace interiore. Come non riuscire a trovare una galleria d’arte moderna quando ne ho bisogno, o come non riuscire facilmente a trovare un posto dove andare a mangiare quando ho fame. Probabilmente e’ il linguaggio a creare una barriera, uno strumento che incide cosi’ radicalmente nella qualita’ del rapporto con gli altri. Tutte cose ovvie. Come questo porti all’ansia che ho pero’ non mi e’ chiaro, come non mi e’ chiaro perche’, dopo innumerevoli viaggi, scopro e riscopro le stesse sensazioni di sconforto regolarmente in relazione con l’Asia, sensazioni che dopo lo scorso viaggio erano scomparse e dimenticate.

Poche ore prima della partenza provavo angoscia perche’ pensavo di poter finire nei guai solamente a mettere piede in Cina. Il pensiero mi e’ saltato in testa la notte prima di partire, perche’ ho un’amica cinese con la quale ho chattato saltuariamente per alcuni anni, e in un momento di compassione per le sue sventure ( mi ha raccontato di aspetti complicati della sua vita dovute al controllo ) le ho fatto avere un indirizzo su Autistici. Fortunatamente per me ho avuto il coraggio di telefonare a Cornelia dal treno che mi portava all’aeroporto, e lei, con la sua calma e con la sua forza mi ha detto di non preoccuparmi perche’, non e’ detto che le comunicazioni con questa persona siano state intercettate, e comunque io non l’ho mai incontrata prima. Ma ho avuto comunque la cattiva idea di dirle che sono in Cina. Ovviamente mi vuole incontrare, anche se abita in un altra citta’. Da quando sono qui e’ riuscita a dirmi una serie di cose che non mi fanno sentire a mio agio, tipo:

* che le piacerebbe andare a vivere e lavorare in Europa
* che le piacerebbe incontrarmi e andare a fare un giro per diverse piccole citta’
* dopo aver inizialmente prenotato un biglietto del treno dal venerdi al sabato ha deciso di cambiarlo per avere piu’ tempo da trascorrere con me

Questo potrebbe sembrare assurdo. In verita’ ci sono dei motivi concreti, o almeno a me cosi’ sembrano, che mi paiono evidenti.
Io ho una ragazza a casa, e vivo con lei. Abbiamo comprato casa insieme. La mia amica cinese non e’ di sicuro semplicemente interessata a incontrarmi per pura curiosita’, c’e’ un risvolto romantico nella cosa che a un livello superficiale mi sembra molto asiatico. Ovvero, l’idea per cui trovarsi un uomo europeo puo’ permetterti di lasciare il paese. Per questo io le ho detto, a scanso di equivoci, che non ho intenzioni di tipo romantico e che io non posso avere nulla a che fare con il suo desiderio di andare in Europa. Come anche viaggiare insieme non e’ cosa, dato che non penso potrei farlo senza mentire alla mia ragazza a casa. Al che l’ultima che ho sentito da lei e’ che ha intenzione di prenotare due biglietti per andare a Disneyland con me qui in Cina. Sembra quasi una battuta di spirito ma so che invece non lo e’. Dalle nostre conversazioni precedenti e’ emerso in diverse occasioni che lei non ha mai avuto una relazione con un uomo. Circa un anno fa il tono delle nostre conversazioni aveva assunto un tono piu’ distaccato e formale del solito, appunto perche’ lei aveva incontrato qualcuno, sul lavoro. Dopo tre mesi in cui non e’ successo nulla a livello sessuale fra i due, lui l’ha scaricata. Mi e’ dispiaciuto molto perche’ lei e’ una ragazza delicata e simpatica, ma e’ anche in tutti i sensi una bambina. Che vuole andare a Disneyland con me.

Non pensate che non me ne accorga.
La sto giudicando pesantemente, e anche con un certo cinismo.
E non pensate che non me ne accorga.
Le mie ansie riguardo al fatto che mi trovo in Cina sono un privilegio. Con lo stesso cinismo con cui parlo di lei, posso parlare anche di me stesso e immaginare che chi mi legge pensi che tutto questo sia in parte anche una forma di narcisismo, un modo elaborato e patetico di mettere il mio viaggio in Cina al centro dell’attenzione. Non e’ cosi’. E’ la prima volta in dieci anni che ho un momento di liberta’ che non sia un periodo di ferie concesso dal datore di lavoro, e per contratto. E non sono in Cina perche’ penso che sia fico essere qui, come avete avuto gia’ modo di leggere. Sono qui per imparare, e sto imparando. E’ fico qui, molto fico, ma anche difficile.

L’unico rimedio all’ansia e alla paura e’ esporvicisi. Si ha paura di quello che non si conosce e che non si puo’ controllare.
Per il momento sto costringendomi a conoscere e a muovermi in scenari che non sempre mi piacciono.
E tornando alla mia amica. Se non fossi cinico e attento a quello che lei potrebbe pensare, potrei probabilmente incappare in una situazione in cui entrambi ne usciremmo perdenti. Lei per la delusione. Io per aver scelto di non camminare nel sole, e ingarbugliarmi in un sistema di menzogne. L’uomo ansioso (io) ha gia’ pensato a tutti i possibili esiti di questa situazione. L’uomo ansioso ( sempre io ) sceglie il percorso piu’ sicuro, anche se questo non esiste. Basta poco, credo, a finire nei guai ( e con guai qui intendo emotivi, ai danni di altri, e dei sensi di colpa che da li’ inevitabilmente ne scaturirebbero ). E poi parliamoci chiaro: quale interesse morboso potrei avere per una ragazza vergine, che non ha mai avuto nessuna esperienza di contatto con un uomo, per assumere il ruolo di del maschio dominante che rovina il fiore delicato per il suo piacere. Io semplicemente non sono un uomo dominante, e decisamente sono un uomo delicato. E ne pago le conseguenze. Ma scelgo di camminare nel sole. Se leggi questo testo, sei tu che hai scelto di farlo….

Ho grande rispetto per le formiche. Anche per quelle con le ali, che risucchio con l’aspirapolvere per necessita’. Non troverebbero la strada per sciamare al di fuori di questa casa nemmeno se le finestre fossero spalancate e non lo sono perche’ fuori fa freddo, c’e’ umido. Che senso ha, delle formiche alate che non volano, che dovrebbero sciamare ma che non lo fanno, e zampettano sempre piu’ lentamente? Che cosa facciamo qui noi europei, specie quelli che non sono qui con un ideale di ricchezza e privilegio da raggiungere, e quelli che, come me, hanno stomaci troppo delicati ( ho la diarrea )? Che cosa fanno qui i cinesi, con il sogno di andarsene e l’impossibilita’ fisica o culturale di farlo, fosse anche che questo richiedesse semplicemente innamorarsi di un uomo europeo, piu’ individualista e dominante?

In ogni caso, l’ansia non e’ circoscritta a questo luogo, come a nessun luogo in particolare.

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