Archive for Gennaio, 2007

Circumvalley

lunedì, Gennaio 15th, 2007

Luthor, 23 anni. Alto, dinoccolato, maglietta degli Orbital verde. Jeans a zampa d’elefante modello  wrangler 71 con tasche applicate. Motorello “Si” Piaggio nero, marmitta Sito.  Capello lungo e leggermente stempiato, procede a velocita’ sostenuta sulla circonvallazione di Milano. Occhi paonazzi, colorito pallido. Il cuore in superattivita’, e’ teso e traspira, qualche capello si bagna leggermente.Ma il vento gli asciuga il sudore sulla fronte. Un cylum prima di uscire, la visita al bancomat con la carta non sua, il codice annotato a penna sulla pelle della sua mano. Nulla nel suo aspetto e’ cambiato , ma da quando e’ uscito a prendere i soldi non riesce a rilasciare la sua prostata, anche se lui non ne e’ cosciente.Tecnicamente e’ fatto come un caimano. Culo stretto sul sellino in finta pelle del motorino, occhi aperti, determinazione a non fermarsi e a tirare dritto quando questo fosse necessario. Cash in mano, andiamo. Mormora mugolando una specie di blues mantra , oscillazioni pentatoniche vocali ab nauseam. Conosce la sua citta’, nella sua mente si disegna il percorso, come una penna che esce dal labirinto. Piazze, incroci, nella sua mente alterata si chiamano gateway, come se Milano fosse una mappa tridimensionale e lui ci stesse scivolando dentro. Griglie verdi in un monitor monocromatico come nella prima versione del videogame di Star Wars, quella in grafica vettoriale. Attento a puntare verso il buco alla fine del corridoio,se conosci la tua morte nera. Gateway to next level.La strada e’ lunga, una gran vasca. Ritirare e’ sempre cosi’, uno sbattimento.Suona il citofono. “Chi e’?” “Sono il tuo omonimo””Sali”.

Il palazzo e’ un catrame anni 80, solo bianco.  Ascensore in legno, modello bara. Odorello di lichene e polvere dei bei tempi. Arriva al 5 piano. “Renata, pranoterapeuta”. Gli apre una signora di piu’ di 50 anni, capelli cotonati con le meches, occhiali in plastica trasparente modello ortopedico.Odore di cucina, pungente di aglio e condimenti. Lo guarda, gli occhi rugosi un misto di compassione e di preoccupazione. Ma forse non per lui. “Salve signora”.

Entra nella stanza. Arredamento laccato bianco da cameretta Aiazzone, Un tavolo in marmo con i piedi in ferro. Sul tavolo i segni di un consumato apparecchiato , cylum, pacchetto di fazzoletti tempo, saffi, due ciotole di rame, qualche sigaretta singola, cartine, collanine indiane. La tapparella e’ mezza abbassata.

C’e’ un allegra tavolata. “Ciao caro”.  Lui si  siede  in mezzo agli altri ospiti, si sente guardato. Sono tutti piu vecchi di lui,  di almeno  15  anni. L’omonimo ha carnagione scura, asciutto, occhi ipnotici. La sua pelle e’ cadente, i suoi capelli grigi, e’ magro. Indossa una maglietta senza maniche di quelle stinte a regola d’arte, diy e Jerry Garcia, forse puzza di sudore. Ha le unghie lunge, sta schiangando. Intravedi il nero li sotto, sporco ma fragrante. La conversazione ha un tono amabile ma amaramente secco. Si sente in imbarazzo. Egli crede che la sua presenza, essendo lui uno sbarbato come questi signori direbbero, non sia gradita.

La sensazione  trova conferma: “accendi”.  E’ ovvio che lo sbarbato debba accendere il cylum. E per quanto in genere sia deliziato da questa mansione, quando va a ritirare preferisce essere lucido. Ma non puo’ dire di no, e la sua fretta, o urgenza, che forse e’ stata percepita dai commensali, viene subito martellata. Ci sara’ almeno un grammo li’ dentro. “guarda che non lo hai acceso bene”, certo, lo sbarbato e’ il loro aspirapolvere.

La gambetta comincia ad oscillare.  Gli scappa la pipi’, ma la vuole fare a casa.

Questa gente e’ molto diversa da lui. Non ha modo di entrare nella conversazione. Si sente come un intellettuale tra dei portuali. Gentile e babbo.  Sta entrando in meditazione, pensando ad altro ed essendo altrove. Altro cylum, lo accende sempre lo sbarbato.Passa una mezz’ora.

Qualcuno se ne va. Omonimo lo guarda finalmente e gli dice “dimmi”.Lui tira fuori i soldi,”vuoi il nero o il verde”. Il nero. SEMPRE. Omonimo si alza. C’e’ un mobile in legno con dei cassetti, roba d’antichita’ bolognese, con collanine del cazzo su tutti i pomelli.Lui e’ affascinato. Omonimo e’ il suo baba. Non sa che Omonimo in india non c’e’ mai stato. E tantomeno ci andra’ mai.

Chiede gentilmente il prezzo. 25 mila lire a unita’. Una rapina. Pensa ai suoi sostenitori. Pensa alla sua parte.

“Ehm…. vedi Omonimo, io porto i soldi di altre persone, e queste persone non sono molto contente del prezzo…e purtroppo se loro non sono contenti io dovro’….”

“babylon rebel” dice la ragazza goana. Lo sospende nell’aria, come un sussulto criptico.

Lui sa benissimo cosa lei vuole dire con questo. Al gioco dello sbarbato non ci sta volentieri, anche pensando che e’ piu vecchio dei suoi clienti, ma e’ imbarazzato,  lo sbarbato, il babbo. La ignora, ma come se avesse fatto un passo falso.

Omonimo sembra ben piu tranquillo. I suoi occhi sono perforanti, la voce e’ quella di chi prova piacere, con il respiro in affondo.

“Vedi, sai…. io ho piu di 40 anni. Ho l’aids. Mi devo comprare le medicine”

Lui sa che e’ vero.Lo zio e il paolino una settimana prima svalvolano per la crema di Omonimo, ma dicevano “che schifo” solo all’idea di fumare con Omonimo. Come se l’aids fosse un battere.In tutto cio’ non sa decidere se gli fanno piu’ schifo loro o le scuse di Omonimo.Decide. Gli fanno piu’ schifo loro.

“Se non vuoi la ciaras ho il marocchino”, lui lo sa, sta nel cassetto di centro. Si accende una sigaretta.

“Ti prego spegni. Lo sai che mi da fastidio”, ha appena fumato 3 cylum ma gli da’ fastidio la sigaretta. Lui spegne e si sente nervoso. Decide per la ciaras. “Facciamo un altro cylum piuttosto”.”Hai della pellicola trasparente?”

Lo sbarbato ne accende un altro.Il cavo orale e’ tutto una fragranza di fiori resinosi. Come un selvatico nettare. Morbidi sfinghelli, neri fuori, rossi dentro. Plastica lucente tesa. Crema, eterogenea e sudata.

Inspiegabilmente Omonimo ricorda a Luthor suo padre. Glielo scrivera’ anche in lettera quando Omonimo sara’ in galera un anno piu tardi. In verita’ Omonimo e’ solo una fantasia in quel frattale di ricordi in cui Luthor e suo padre respiravano qualche sera guardando un film.Luthor era bambino, suo padre beveva un wyskey. Caldi divani di velluto,una notte d’estate in citta’. Molto del mondo e’ sconosciuto a Luthor. Non ha scoperto da molto che gli interessa l’India.Adesso sa cos’e’ la charas.

Suo padre, e Omonimo. Nulla a che vedere. L’associazione che Luthor fa, in verita’ viene fuori dal peto di un cartolaio di bombay. Ohm shanty. Boom alek.

Finalmente riesce ad andarsene.Si sente ispirato.Ma quando e’ sul pianerottolo e la porta si chiude, ritorna l’adrenalina. Nell’ascensore disloca le parti che ha gia diviso in diversi anfratti dei suoi vestiti. 15 nella calza destra, 5 nella sinistra. I suoi 2 grammi nel taschino dei jeans, formano una gobba. Ma i suoi amici non la noteranno. Loro sono sbarbati, pensano che gli stia facendo un favore. Un favore sciamanico.

Ma sciamanico non e’ e Luthor si sente in colpa. Innocenza mistica, karma di un karma che non sa cos’e’.Ma tutto sommatto e’ contento, lo preoccupa solo il fatto che le sue orecchie scottano, e le sue gote sono in fiamme.Il fuoco lo divora da dentro, sciamanesimo che si sprechera’ in una corsa in motorello, nella citta’ caotica che lavora. Ma lui non lavora.E i milanesi sono come degli alieni per lui. Lui pero’ e’ milanese, ma sopratutto pensa che e’ un peccato essere cosi fatto in quel momento ed essere in sbattimento. La vasca lo aspetta.

Parla da solo nella sua testa. Siediti col culo bello indietro, stendi bene le braccia, il motorino ti traina, non lo conduci, lo aggiusti. Ritornano le pentatoniche, il mugolio blues.Circumvalley blues,il si che viaggia e rimbalza sulle gobbe del pave’.Pilota automatico.Lalalalala’ my bike.

 

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