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Mizzi

domenica, Maggio 1st, 2011

Esco dall’ hamburger shop soddisfatto. Big cheese con patate al forno. E uno buono. Grillerism, food with care. E’ nel quartiere da poco, e fanno hamburger giganti come li farei io a casa mia. Le verdure sono fresche, il cheddar cheese ha lo spessore e la consistenza tipica di un formaggio olandese  che ha dignita’. Le salse sono “fatte in casa”. Le patate hanno la buccia, sono lunette tagliate a mano e hanno un colore dorato, unto di un buon olio di oliva e profumate di aglio. Non male. Mi libero del coinquilino che sta alle cozze per una storia finita da molti mesi ma che continua a perseguitarlo. Sta in loop di brutto e lo capisco benissimo, anche perche’, come al solito, ci sono dei dettagli tecnici che lo mantengono legato a lei, il tipo di dettagli che fanno si che la sua stanza sia invasa da scatole di cartone mezze ammuffite contenenti gli averi della sua ex che sta in sudamerica in una setta religiosa kattobrasiliana. “La mia vita e’ una rovina” ripete a voce e sul suo blog. C’e’ miasma e miasma. Ora pero’ ne ho avuto abbastanza di ascoltarlo, e stamattina gli ho anche dovuto dire che deve darsi una regolata. Si ammazza di alcool la sera del venerdi’ e il sabato mattina lo sento piangere e alzare la voce al telefono. “Prenditi cura di te stesso, Samuele, ci sono problemi tecnici, ma ci sono anche tante troppe ore che passi a pensare solo a quello, in fissa davanti a Facebook, chiuso nel tuo loop e nella scatola che hai intorno alla testa, oltre a quelle che hai nella tua stanza”.
E quinidi oggi gli ho offerto il pranzo, dato che lui sta ovviamente al verde sparato, durante il quale lui ha avuto il buon gusto di parlare della rovina del capitalismo e di quanto tutto questo non possa durare, con note circostanziali sulla situazione in Libia e su come Gheddafi sia un porco. Il mondo sta finendo. In Giappone c’e’ il terremoto, il 2012 e’ l’anno prossimo. Alzando la voce e gesticolando in un locate di 30 metri quadrati pieno di umanita’ upper middle class del West Side. Non sono dell’umore giusto. Rispondo a monosillabi e vorrei cambiare discorso, ma Samuele e’ in loop. Aspetto che anche lui abbia finito ed esco velocemente dall’hamburger shop e mi dirigo per i miei venti, vado ad incontrare i miei nerd preferiti e ci faremo un bel po’ di ore di fai da te in diverse discipline hi-tech. Mi pare cosa sana. Arrivo quasi alla fermata dell’autobus, sono in mezzo all’incrocio e suona il telefono. Penso che sia Casper, il mio amico genio che mi aspetta all’hackerspace. Di sicuro ci sara’ qualcosa che devo comprare nel reparto “Data” del mega emporio dell’ attrezzo.

Non e’ Casper. E’ Mizzi. Lo sapevo che si sarebbe fatta sentire nel weekend. Mizzi e’ una amica di amici che ho incontrato una volta sola, ma alla quale ho avuto il buon gusto di mandare un messaggio sbarazzino su quella merda di Facebook. E pure io non sono tanto meglio. E’ bionda, vichinga, alta e tanta. Mizzi ha molti piu anni di me e sembra la personificazione di uno di quei pornazzi che mi sono sparato piu volte in cui la Milf tanta seduce un teenager prendendolo per il pisello. La mia mente perversa si dimentica del fatto che io non affatto un teenager, tuttavia Mizzi e’ per certi versi la Milf che seduce un teenager. Solo che Mizzi ha dei problemi, ha una storia di vita che sembra il costume di arlecchino e cicatrici che ancora non so quanto influenzino la sua giornata. In sintesi: Mizzi e’ nata in Brasile da expats olandesi. Mizzi ha avuto un figlio a 14 anni. Mizzi e’ andata nella giungla e si e’ messa crescere il figlio con il suo uomo. Mizzi e il suo uomo vivono alcuni di anni di hippismo radical socialista nellla giungla cibandosi dei frutti della terra e artigianando con il cuoio. Dopo un tot di anni di fricchismo pesante Mizzi si convince di quanto il figlio necessiti di vivere in un posto migliore, in cui possa crescere forte anche intellettualmente. Il suo uomo e’ uno sbiellato e non ne vuole sapere di andarsene dalla giungla e dal fricchismo radicale. I due si smollano, ma il tipo le sta addosso, Mizzi si trasferisce in citta’ e il tipo la segue a distanza come un cane in punta. Mizzi scopre che il tipo ha preso casa nella sua stessa via.
Il tipo se la svolta vendendo cocktail fruttovitaminici nel cortile di un centro benessere, e riesce a incunearsi di nuovo nella vita di Mizzi tramite la madre di lei, una simpatica neocolonialista olandese che considera i neri al pari di scimmie da cortile.

Come spesso succede quando ci sono dei figli di mezzo i due si riavvicinano, lui
la riconquista, va a vivere con lei, la riperde, torna a vivere da solo. Una sera i due si incontrano per strada per parlare e lui finisce la sua vita li’ e adesso, colpito dalla pallottola di un rapinatore cocainomane. Prima di deprimermi di nuovo, la prossima volta pensero’ prima a Mizzi.
Mizzi e’ devastata e lascia il Brasile per crescere il figlio in un paese migliore. Il figlio di Mizzi scopre di essere omosessuale. Mizzi e il figlio stanno bene insieme, e Mizzi si trova un altro uomo, un muscoloso figlio di puttana che non sa mangiare un panino senza lasciare un casino, e che scopa con Mizzi si, ma solo come piace a lui: alla missionaria, ovviamente. Mizzi e’ tosta, lavora come orafa e come riparatrice di gioielli. Fuma enormi cannoni e nella concentrazione piu profonda crea monili di una bellezza antica e fiera. E vagamente pacchiani. Mizzi si coinvolge in progetti sociali, da la spinta super decisiva a un progetto strafico: un salaprova-hotel per musicisti indipendenti con annesso pub sul cui palco si esibiscono a turno i suddetti musicisti e i loro amici. Stiamo parlando di un palazzo in mattoni rossi di tre piani e grande quanto un liceo romano. Mizzi ha dato troppo per quel posto, ha anche messo in piedi una galleria d’arte in un pied-a-terre nel cortile del palazzo e se ha smesso di far parte di quel mondo e’ solo perche’ dopo 10 anni di lavoro volontario Mizzi e’ stanca. Da alcuni anni Mizzi ha comprato una casa, una vecchia stalla ristrutturata negli anni 80, un luogo per certi versi storico, che ha ospitato una comune di omosessuali in tempi di repressione e che ancora ne porta i segni: un bellissimo mosaico su una delle pareti esterne, un sole che ammicca strizzando l’occhio. Se questa non e’ poesia, poco ci manca.
Mizzi non ha tanti soldi, e quindi condivide la casa con il figlio, un marcantonio di due metri con una faccia simpatica e sveglia, che e’ da poco tornato da un periodo in Brasile passato a prendersi cura della nonna moribonda, con il nuovo fidanzato del suddetto figlio, naturalmente brasiliano, che non ha mai visto la neve in vita sua e che dopo una sola settimana in Europa sta gia’ sbroccando ( e Mizzi e’ scettica per questo motivo), e una giovane donna depressa con la silhouette caratteristica di un boiler da 70 litri e la tipica espressione che ha un merluzzo bollito quando e’ cotto.
Mizzi non puo’ piu’ lavorare come orafa. Le sue mani hanno un non definito problema, e il suo braccio le da’ dispiaceri. Mizzi sta in sussidio di disoccupazione. Mizzi e’ “in deppa”.
Mizzi mi piace.

Rispondo al telefono, “Ei ciao come stai? Oggi cosa hai fatto? E ieri sera?”. Parlottiamo un po amabilmente, faccio finta di conoscerla, sono gentile ma un po’ nervoso, scherzo un po’ e spesso cerco di nascondere la timidezza dietro a un po’ di allegria e a una risata. Odio quando lo faccio, ma non ho ancora elaborato una strategia diversa. “Sono arrapata di brutto, Federicu, porca miseria”. Eccoci. Aqui Estamos.E se prima ero timido, ora sono imbarazzato.”Merda se sono arrapata. Oh diamine”.

E qui sono costretto a una lunga digressione. Io e Mizzi abbiamo un solo trascorso. Le ho mandato un messaggino una settimana fa perche’ mi sono trovato ad essere di nuovo single. Abbiamo un tot di contatti in comune. Abbiamo cominciato a chattare un po’. Io le piaccio. Ci siamo detti interessati ad incontrarci. Lo abbiamo fatto quasi subito in un cazzuto pub per alcolizzati. Ci siamo detti: “ci beviamo una birretta nel baraccio ma poi usciamo a cena”. Quando scendo dal tram, faccio dieci metri e la incontro. Mizzi indossa un bel cappotto nero, ha una chioma di lunghi capelli biondi platinati e naturali, e’ molto alta e mi prende sottobraccio. I nostri sguardi si incontrano. E’ uno sguardo allo stesso tempo innocente, triste e penetrante.
“Scusa sai ma mi sono appena fumata un cannone”. Ah pero’. Mi piace il tuo stile. “Davvero so che non era il caso, ma ero li’ mentre chattavamo e non sono riuscita a non finirlo. Sai quando hai il cannone fra le dita”. So com’e’. E so anche che al momento lei sicuramente si sente piu’ timida a causa di questo. I cannoni hanno molte virtu’, ma non aiutano la socializzazione con persone estranee e con cui speri di andare a letto. “Non ti devi scusare, so esattamente com’e'”. Entriamo nel baraccio. Per fortuna non c’e’ quasi nessuno.
A sorpresa Mizzi conosce il posto e mi porta nel retro, dove c’e’ una specie di veranda in cui si puo’ fumare. Nel frattempo compro due birre: “il prossimo giro lo pago io” mi dice. No stress. Mi fa sempre piacere offrire da bere a una bella donna. La compagnia non ha prezzo. Per una buona mezzora ce la spassiamo.
“Tu non sei un anarchico, gli anarchici non vanno in giro vestiti cosi'”. Ah gia’. Gli anarchici sono quelli vestiti di stracci che sfasciano e incendiano le macchine e che vivono dormendo sul pavimento delle officine. “Io lo so come sono gli anarchici. Anche io sono stata un anarchica in alcuni periodi, ero talmente anarchica che qualcuno doveva venire a raccogliere la mia spazzatura”. Insomma eri una fottuta hippie marciona, intendi dire. Mi racconta un po’ della giungla e poi glissiamo amabilmente. “Ho tanti amici che sono anarchici, e mi piace confrontarmi con loro. Ma non so di preciso cosa sono, vedo che sono un po’ di tutto: a volte sono anche nazi”. Ah pero’. “Che ci posso fare, sono razzista, con alcune categorie lo sono. Alcuni proprio non li riesco a tollerare. Con me, se sei di quel background etnico non ci devi parlare”. Ci penso un po’ e lo capisco. Xenofobia. Paura del diverso. Esistono gruppi etnici che turbano anche me. Con me non ci devi parlare. Si insomma, magari ci parliamo anche, ma non ti invito a cena diciamo. Dato che comunque hai un odore che non mi convince. E chi dice che non ha mai pensato queste cose in alcuni specifici casi, mente. Pensateci.
Senonche’ non capisco la tolleranza di Mizzi per la parola nazi. Non sei nazi se hai solamente paura del diverso. Non sei obbligato a picchiare i negri se ne hai paura. “In acluni periodi penso di essere una cosa, in altri un altra. Non riesco a darmi una categoria. In altri tempi ero piu’ coerente, ma poi mi sono resa conto di quanto fossi ingenua. Dopotutto quelli che dicono di essere una cosa, lo fanno in modo religioso. Io penso solo che nella vita bisogna fare delle esperienze, e se si e’ religiosi e non si fanno certe altre esperienze, che senso ha? Che valore puo’ avere un punto di vista che ha soltanto un angolo visuale?”.
Ha un po’ ragione, ma in cuor mio temo che cosi’ si rischi anche di finire male. Che valore puo’ avere il punto di vista di chi ha trecento visuali che non hanno necessariamente nulla in comune? Non e’ cosi’ che funziona la demagogia? Spiriti liberi di sto cazzo.
Mizzi fuma tabacco, e rolla coadiuvata da una macchinetta che mi ricorda tanto l’Olanda, usando delle cartine prearrotolate con filtro integrato. Cosi’ sembrano sigarette normali e tu non sembri un marcione. Non male. Anche se per fumare ti devi portare dietro tutto il droga kit. “Non mi guardare cosi’. Ora mi stai spogliando con gli occhi.” Di sicuro arrossisco. Anche se non lo stavo facendo, non in quel momento almeno. Mi sale un durone. “Io lo capisco quando voi uomini pensate al sesso” Se lo dici tu. Quando lo stavo facendo non te ne sei accorta, e ora che non lo stavo facendo ne sei convinta. “Scusa un secondo eh, ma voglio proprio provare….ahrwr” Mi bacia sulla bocca e con la lingua. La sua bocca non e’ il massimo, scopro. Le labbra sono sottili, e la bocca e’ un po’ triangolare. La sua lingua e’ molto umida ma e’ un po’ dura. E’ un bacio a cui ne segue un altro e un altro ancora. La bacio morbidamente, con gioia, ma lei e’ dura. Sembra di baciare una statua. una statua con dei bei capelli morbidi e un buon profumo. Provo una sensazione strana, un misto di contentezza e stupore noir alla trainspotting. Maledico l’indottrinamento cattolico. “Io in alcuni periodi ho lavorato in un porno shop”. La cosa mi riempie di gioia. Ma lei si giustifica. “Era un periodo che non avevo soldi. Ne ho sentite tante. E le so tutte: hai questo problema? Qual’e’ il tuo problema? Guarda allora questo fa per te”. Penso a le poche volte che sono stato in un porno shop e dubito fortemente sia del fatto che la gente che li frequenti abbia dei problemi, sia del fatto che se quella stessa gente ne ha, ci siano dei prodotti la’ dentro che li possano risolvere. Vorrei dirle che la pornografia molto spesso da’ dei modelli del tutto sbagliati di sessualita’ ma e’ troppo impegnata nel dirmi che alcuni dei clienti volevano scoparla. Che strano. Suona il suo telefono. “Ah ciao Alex. Come stai. No non sono a casa al momento. Sono al bar. Con un amico. Si, se la vuoi mettere cosi'”. Vado al cesso a cambiare l’olio e compro un altra birra. Quando torno Mizzi ha finito la sua telefonata. “Era Alex, sta venendo qui”. E chi cazzo e’ Alex? Lo scopro 10 minuti dopo.
E’ un tipino moro e smilzo con un cappellino da camionista gay. E non e’ un caso. Alex lavora come apprendista parrucchiere e avra’ si e no 18 anni. La ragione per cui ha telefonato e’ che gli serve del fumo, e Mizzi ce l’ha. Quindi dobbiamo andare a casa sua. Bella li’.
“Non ti dispiace se andiamo a casa mia?” Per niente, figurati, “Pero’ abbiamo gia bevuto due o tre birre, e se tu vuoi fumare io devo prima mangiare”. Vabbe’ che siete sbarazzini, ma io El Carrete a stomaco vuoto non me lo faccio. “Daccordo passiamo dal supermercato, ti va una pizza surgelata?” Mi va. Anche perche’ ho gia’ capito che di alternative non ce ne sono. Sulla strada ce la ridiamo. Mizzi mi tiene sottobraccio e scivola sulla neve. Io non riesco a tenerla e sembriamo dei birilli del bowling. Per fortuna non cadiamo. Siamo alticci. Alex e’ molto simpatico e mi piace parlare con lui. E’ giovane, disinibito, e mi pare uno tosto. Ha 18 anni e si e’ preso completamente la responsabilita’ della sua vita. Inoltre e’ sempre allegro. I due per non sbagliare si fumano un cannone per strada. Mizzi deve aver rollato nel bagno del pub.
Arriviamo a casa e saltano fuori altre birre e altri cannoni. Mangio la mia pizza, bevo e fumo. Stranamente mi sento a disagio.
Forse sto invecchiando. O forse improvvisamente mi rendo conto che tutti gli occhi dei coinquilini sono su di me. Appare anche il figlio con il fidanzato. Mizzi ha portato a casa un uomo. Parliamo di me e del mio lavoro. Quando se ne vanno dalla cucina mi saluta dicendo “Spero di vederti di nuovo”. La casa mi piace molto, e’ bianca e ha due piani, ci sono un casino di piante e decorazioni di buon gusto. Ha un certo sapore olandese, ovviamente. Sull’ ingresso avevo sentito un odore conosciuto. “Ah ma qui ci vive un gatto!” , dicevo togliendomi il cappotto. Gia’ non vedevo l’ora di accarezzarlo. “No, un cane”. Ovvio. Confondere l’odore di un cane con quello di un gatto non e’ da me. Che cazzo mi sta succedendo?
La serata si fa lunga e comincio a temere che si fara’ tardi. Alex finalmente se ne va. Mizzi mi racconta di come sta cercando di aiutarlo. La sua idea e’ quella di fare risultare che lui vive li’, anche se in effetti questo non e’ vero, per ottenere piu’ facilmente soldi dal sussidio statale. La cosa non mi e’ chiara. Me la spiega.
Sediamo su un divano di pelle nera. In cucina. Si. E non e’ pacchiano. Tra una conversazione e l’altra ci baciamo, e tra una birra e un’altra Mizzi mi mette la mano sulla patta dei pantaloni e me lo stringe guardandomi con uno sguardo assassino. Sono arrapato di brutto. All’improvviso e’ di nuovo tutto come nei film porno di cui parlavo prima.
“Tu pensi che adesso andremo di la’ a scopare. Ma non lo so sai. Io adesso ti faccio impazzire, ti faccio arrapare fino a quando non ne puoi piu’. Poi vediamo. Sai quanto ci impiego a portarti nella mia stanza? Un minuto, forse di meno”. Ci baciamo appassionatamente. Mizzi e’ ubriaca, credo. Continua a stringermi il pene, sento il sangue pulsarmi nelle tempie, aggrotto le ciglia e ce l’ho durissimo. A volte me lo accarezza cercando il prepuzio con le dita. Il tutto sempre al di fuori dei pantaloni. Sussulto. “Ah sei cosi’ sensibile tu”. Si. Sono cosi’ sensibile io. Se continiuamo cosi’ esco pazzo. Mugolo. Le tocco le tette che sono enormi e liscie, e inaspettatamente compatte e sode. Mizzi indossa un vestitino nero che mi piace, e degli stockings elastici di cotone che mi piacciono molto meno. Siamo li che ce la godiamo, quando arriva il Boiler in una striminzita vestaglia di finta seta grigia che fa tanto Hennes and Mauritz. Aprendo la porta entra anche il cane, che e’ un botolo nero e orribilmente obeso. Che bella coppia. Il cane rantola.
Ci ricomponiamo. Il Boiler tira fuori un pacco di verdure surgelate e comincia a saltarle in padella. Mangiano tutti sano in questa casa. Mizzi e’ stizzita, il Boiler e’ giustamente imbarazzato. Io sorrido e me ne sbatto i coglioni. Non sono cazzi miei sinceramente, ed inoltre provo una curiosa sensazione di potere. Tutto ruota intorno a me in questo momento. Mi chiedo comunque come sia possibile cenare alle 10 di sera di un giorno infrasettimanale cibandosi di monnezza industriale. E non fare quella faccia da merluzzo triste, che te la cerchi proprio. Mizzi la incenerisce con lo sguardo. Il Boiler scappa in camera sua portandosi dietro il manicaretto oleoso che si e’ appena preparata. Poco succo e poca vitamina: vita da boiler.
Mizzi spara due o tre commenti acidi sputacchiando mini bollicine di spuma di birra. Si e’ rotta le palle di vivere con il Boiler, che a quanto dice e’ pure una zozzona e come se non bastasse le ha fatto morire delle piante a cui lei teneva tanto. Certo, all’eta’ di Mizzi non dev’essere facile vivere con dei giovani omosessuali casinisti e con un boiler.
Mizzi mi racconta la sua vita. Dice di essere depressa. Io le racconto la mia e stranamente mi dilungo su episodi di disperazione passati, e mi soffermo su quanto la cosa mi abbia lasciato un marchio indelebile. Parliamo del fatto che mi sono lasciato da poco con la mia fidanzata, le confido di come sto facendo di tutto per distrarmi, perche’ sento vecchie sensazioni affiorare, e vedo pericolose analogie con quei periodi di cui sopra. “A volte mi sento come un cane randagio”, le dico.
“Certo, ti capisco benissimo. E’ cosi’ nella vita, quando si soffre tanto. Quando arrivi a soffrire al livello 10, la cosa ti segna. Poi ti riprendi, la vita continua, te ne dimentichi e sei felice di nuovo. Ma quando di nuovo succede qualcosa di brutto, anche molto piu’ tardi, anche se non e’ la stessa cosa, anche se non e’ il livello 10, ma diciamo un livello 5, tu immediatamente torni al livello 10. Perche’ ormai sei segnato”. C’e’ del vero in quello che dice. Non so se ho sofferto fino al livello 10, dopo aver ascoltato la sua vita. Ma sono convinto che lei abbia ragione, e mi colpisce questa teoria che non avevo mai sentito. Mizzi mi piace. E’ bello confidarsi con Mizzi. I nostri discorsi sono un po’ bui, ma sempre solidali e sinceri. Io la ascolto, lei mi ascolta. C’e’ una dolce fratellanza in tutto questo. Vedo quasi una luce.
O forse sono le sue mani non piu’ giovani che tornano regolarmente a stringermi il pene? Ma non aveva problemi alle mani?
A me non sembra.
Mizzi si alza dal divano, e mi invita ad avvicinarsi al tavolo dove si e’ seduta di fronte a un pc.
“Ho un po’ di problemi con questo computer, da quando ho fatto gli ultimi update, tu che ne dici?” No guarda, col cazzo che ti metto a posto il pc. “Eh guarda non so. Io lavoro con Linux….”.
“Volevo farti vedere una cosa, che ho lasciato a meta’ quando sono uscita per venire a incontrare te” e sorride.
Mizzi toglie la pausa da un DVD player, e appaiono le immagini di un film porno in cui una teenager dal corpo affusolato, quasi completamente depilato, viene penetrata da un pene piuttosto lungo. Mizzi mi guarda maliziosa e mi accarezza di nuovo il mio.
Mizzi e’ seduta di fronte al pc, io sono in piedi. La vista dei suoi capelli biondi e della sua scollatura e’ una cosa deliziosa. Mi va il sangue al cervello. O forse non ci va per niente e quello che provo nella mia testa e’ la frustrazione delle ultime sere e la troppo prolungata ritenzione del mio sperma. “Mizzi mi stai facendo impazzire, non ce la sto facendo piu’.”
“E quindi che facciamo?” mi dice lei sorniona. “Non lo so, ma se non vuoi portarmi nella tua stanza, forse e’ meglio che me ne vada”. Mizzi si arresta. “Si?” “No. tu mi piaci. Mi piace stare con te”. Mizzi si alza e mi bacia. Mi stringe i fianchi, io le accarezzo il seno. Limoniamo. Poi torna a sederi e a toccarmi. “Mizzi, sto impazzendo ti dico, non ce la faccio piu’, se perdo il controllo io lo tiro fuori, qui e adesso”.
Si e’ fatto tardi e Mizzi non sembra tanto per la quale. Continua a bere. I discorsi si fanno brevi e sconnessi, non riesce manco a mettere su un po di musica. Sospetto che tutta la manfrina sia solo una scusa per avere un po’ di compagnia. La cosa mi indispone un po’. Volevo passare una serata spensierata e amorosa, e dopo pochi minuti mi sono ritrovato coinvolto in un vorticone infinito di birre in cui ho dovuto anche conoscere figli, amici dei figli, giovani omosessuali sotto protezione e il Boiler. Non mi pare galante. Comunque con che faccia mi lamento. Ma me ne torno a casa. Mizzi si scusa della sua ubriachezza. “E’ anche un giorno infrasettimanale”. Mi pare assurdo. “Non c’e’ problema, Mizzi, non c’e’ niente di male. Anche io a volte…guarda mi fa solo piacere che tu te la sia goduta”.
Sulla strada di casa mi sento improvvisamente triste. Molto triste.
Casualmente devo prendere l’autobus alla fermata sotto casa della mia ex. Il dolore sale a 7. Fa freddo. Mi prende un nodo allo stomaco. Perdo un po’ il controllo e le telefono.  Mi sento subito bene nel sentire la sua voce. E’ contenta di sentirmi e parla con il tono di voce che, il ricordo e’ ancora fresco, lei ha quando e’ sotto le coperte e sta leggendo pacificamente un libro. Mi sembra di sentire il suo odore e quello dei suoi copripiumoni bianchi e puliti, decorati con pizzi sobri. “Ciaao!”. “Ciao. Sono sotto casa tua, sono stato a casa di quel mio collega che abita qui vicino, aspetto l’autobus e sto tornando a casa. E’ stato carino. Siccome sono qui alla tua fermata ti ho pensato. Come stai?” Mi dice che le cose non sono facili. Che spesso mi pensa. Che e’ molto triste. Parliamo di nuovo dei motivi che ci hanno portato ad allontanarci. Ci vogliamo bene. E’ questo e’ bello. Ma entrambi sappiamo come stanno le cose e non sembra che sia il caso di sforzarsi ancora. La conversazione e’ triste, ma il senso di vicinanza e’ ancora vivo e mi sento a mille miglia da Mizzi e da quella che identifico, anche ingiustamente, come oscurita’ al momento. Parlare con Maria mi riappacifica con la serata, fino a questo momento spigolosa, e non parlo solo delle mie mutande.  Sull’autobus mi accorgo che Mizzi nel frattempo mi ha chiamato. Probabilmente mentre ero al telefono con Maria. Hai aspettato che non ce la facessi piu’, hai giocato al femdom per delle ore e poi quando me ne sono andato, ti e’ venuta voglia. Vabbe’ peggio per te. Hai pure trovato il telefono occupato. Arrivo a casa che e’ tardi e dormo solo e tranquillo.

Fatta questa digressione, ritorniamo al sabato successivo. Di nuovo sono in mezzo all’incrocio con Mizzi che mugola al telefono. “Diamine, sono ahrrapata”. “Mizzi, se mi dici cosi’ mi fai venire voglia di venire li'”. “Si Federicu, vieni, vieni subito”. Mi sale di nuovo il durone, e penso che i nerd possono aspettare, e che e’ anche ora che aggiusti una certa ferita. O per meglio dire, che qualcuno me la lecchi. “Puoi comprare un six-pack di birre?”. Mi arresto. “Mizzi, e’ me che vuoi, o e’ un six pack di birre?”. Mi rendo immediatamente conto che sono stato un bel po’ aggressivo, ma porca puttana, forse e’ la cosa piu’ giusta che potessi dire. “No ok, lascia perdere le birre, ma vieni”. Vengo, vengo. Sull’autobus penso che FORSE Mizzi ha un problema serio con l’alcool. E mi si spiega anche perche’ le devo spesso chiedere di ripetere le cose al telefono. Non e’ che non capisca io, e’ proprio lei che biascica! La cosa non mi turba piu di tanto, dato che comunque credo che sto andando a farmi una meritata scopata. E la cosa mi va bene cosi’ com’e’. Ripenso che in fondo ognuno ha i suoi problemi, e che Mizzi comunque mi piace. Che sia un alcolizzata o no, mi eccita moltissimo, e questo in fondo e’ quello che conta. Sono sempre stato affascinato da donne piu’ anziane di me. Specie se bionde e provocanti. E’ ora di aggiungere un ricordo vero a una serie infinite di fantasie ( e di sessioni di porno americano ).

Arrivo a casa di Mizzi. La casa sembra vuota. Il solito odore di cane, c’e’ buio e silenzio. Salgo le scale e la incontro. Ci guardiamo. Ci stringiamo. Mizzi ha un vestito grigio un po’ striminzito, ma comunque sexy. I suoi baci odorano di alcool. Hai voglia a scusarti questa volta. Ha uno sguardo vacuo e un espressione molto seria che a tratti mi spaventa. Mizzi tira fuori una boccetta di popper e me la infila sotto la narice. Annuso e si spande un calore in tutto il mio corpo. Il cuore mi batte forte. “Ancora, di nuovo.” Mi dice. Le dico che non sono tanto per la quale, e che il popper e’ roba che non fa bene. Mizzi insiste, e anzi controbatte dicendo che non e’ affatto vero, e che anzi il popper fa bene e non ha mai ammazzato nessuno. Ok. Faccio un altra sniffata. “Ora sei pronto”. Mi porta per mano in camera sua. Sono nervoso.

La stanza e’ un casino indescrivible. Il letto e’ sfatto e ha l’aspetto di un campo di battaglia. Le lenzuola sono evidentemente sudicie e ci sono vestiti dappertutto. Inoltre e’ quasi completamente buio e c’e’ un odore stagnante e un po’ disgustoso. “Che odore senti?” Mi chiede lei.  Cazzo ma non ti pare un po’ tardi per renderti conto che sta stanza e’ aldila’ del bene e del male? Che vuoi che ti dica adesso? “Sento odore di umidita’” le dico. Mizzi si toglie parte dei vestiti, cioe’ le mutande, ma ha ancora il vestito indosso. Ha un corpo rotondo e bianco. Ha un tatuaggio di una bruttezza inenarrabile su un fianco. Una specie di tribale, solo che sembra fatto in stato di ubriachezza da un ex carcerato motociclista. Io mi tolgo i miei e mi metto sopra di lei, ma con ancora le mutande indosso. Mi piace toccarla, e’ liscia e soda. La passerina e’ completamente depilata a parte una striscia sottile e centrale, perfettamente controllata. La tocco, e’ bagnata fradicia. Gioco un po’ con lei, e vorrei leccargliela. Mizzi mi ferma e mi ribalta sul letto e mi sale sopra. Estrae la boccetta di popper dal reggiseno e me la schiaffa sotto la narice. Questa volta mi ribello. “Non mi va”. Mizzi non parla, ma mi tira fuori l’uccello dalle mutande e ci gioca un po’. Sembra delusa. Non e’ completamente duro. Mizzi respira pesantemente e sembra irrigidita. Odora di alcool. Provo a baciarla. Non mi lascia. Mi si avvicina. “Cosa c’e’ che non va, Federicu?” Ma, vedi tu. Sei ubriaca alle 3 del pomeriggio, mi fai venire qui e mi fai trovare una stanza peggio dell’alcova di un senza fissa dimora, non mi baci neanche, mi schiaffi il popper sotto il naso come faresti con un cane che deve prendere la medicina. “Mizzi, non sono abituato al tuo corpo, non ti conosco, e comunque mi sembra che questa situazione non sia rilassante. Sono nervoso”. Mizzi ride sguaiatamente. “Ah sei nervoso. Non sei abituato al mio corpo. Vieni qui” Salgo sopra di lei e cerco di baciarla. Di nuovo non mi lascia. “Da quando e’ che hai questo problema, italiano pacco?” “Che problema?” “Questo problema.” E mi prende l’uccello con due mani e lo scuote. “Se tu non avessi un problema, saresti gia’ dentro di me, cretino che non sei altro”.  O forse sei tu un ubriacona zozzona ed egoista,  che si lamenta tanto degli uomini che ti trattano come una bestia, ma alla fine e’ quello che vuoi. Non solo lo vuoi, ma anche tratti me come se fossi il tuo cane. E adesso ti lamenti che non sono un troglodita che quando vede una figa la stantuffa, indipendentemente dal resto, tutto il resto. “Senti, forse e’ meglio che me ne vado”. Mi rivesto. Lei sembra triste. “Ma sei sicuro?”. Si sono sicuro. “Ma guarda che mi doveva capitare. Un italiano pacco pure”. “Si si, ciao.”.

Esco per strada e mi sento liberato. “Satana all’inferno!” dico ad alta voce. E salto sul tram che arriva fortunatamente proprio in quel momento. Scuoto la testa e non ci posso credere.