Archive for Dicembre, 2011

Slash, Burn, Poison. Obscurity. Protection.

martedì, Dicembre 13th, 2011

Siedo a ristorante con Fulmine, suo padre e mia madre. Fulmine ha insistito perche’ andassimo a ristorante in un posto che non conoscevo. Sembra caro, ma gli odori che vengono dalla cucina sono deliziosi. Brodo di pesce, con molto aglio e prezzemolo. Il locale ha le pareti gremite di vecchie foto del posto, una piccola citta’ della riviera. Foto degli anni 60 e 70, con uomini apparentemente di diversa levatura sociale che sorridono mostrando la preda del giorno. Foto di gare di canottaggio, con le tipiche barche locali. Vecchie foto dell’ 800 con viste del posto ai tempi. La serata e’ mite, anche se siamo agli inizi di Dicembre. La citta’ e’ deserta. La situazione e’ sinistra. Fulmine ha un tumore al cervello. Mia madre e’ appena stata operata di un tumore al seno. Per questo mi trovo qui. Tutto e’ successo all’ improvviso, come sempre in queste situazioni. Questi sono i miei ultimi giorni di vacanza quest’anno, e il natale sara’ quindi un natale solitario. Non so davvero cosa faro’. Ma che importa. Tanto, questo e’ peggio. Sono a casa. Con il mio migliore amico e mia madre . E non so quando e se li rivedro’ la prossima volta. Ovviamente questo miasma di tragedia puzza solo quando ne scrivo. Ma mentre siedo li’ con loro, tutto sembra normale. E io, che cosa ho fatto di male? Sono saltato su un aereo per venire qui. Non mi sentivo bene prima di venire qui. Ora mi sento come una tavola di legno. Morto dentro e duro. Fulmine si era sposato nel settembre del 2010. Una settimana prima del matrimonio fu preso da un tremendo torcicollo. Un torcicollo di un intensita’ tale da non permettergli di alzare la testa, che gli rimane bloccata accanto alla spalla. Corre all’ ospedale, gli fanno una puntura. Il collo gli si sblocca. Fulmine si sposa. Passa un altra settimana. Il fenomeno gli si ripresenta. Mentre e’ alla guida. Miracolosamente raggiunge il pronto soccorso. Gli danno delle pillole. Gli fanno un esame del collo. Tutto a posto. Ma per sicurezza, gli fanno una risonanza magnetica al cranio. “Perche’ il cranio?” Per sicurezza. Fulmine si ritrova con un radiologo in un ufficio di un ospedale. La doccia fredda. Fulmine ha smesso di lavorare, ha fatto ricerche sul suo male.
I medici Italiani dicono solo tre cose: slash, burn, poison. “Signor Fulmine, cosa vuole che le dica. Qui non si puo’ fare una biopsia perche’ come lei mi insegna, il cervelletto e’ il centro dei movimenti involontari. Lei non vuole rimanere paralizzato a 32 anni penso. Sa cosa dobbiamo fare qui? Qui dobbiamo fare la radioterapia”. Burn. Fulmine fa delle ricerche, zelante e senza compromessi come al solito. Fulmine e’ una persona che quando si applica non ha limiti, in maniera ossessiva. Inutile dire come sia ossessivo ora. Di tutti i casi di persone che hanno avuto il suo male, e che sono stati trattati con la radioterapia, nessuno ha sopravvissuto il quinto anno dopo l’intervento. “Rudolph, ho letto che c’e’ stato un caso di una persona che vive dalle tue parti, che ha il mio stesso male. Ho trovato un articolo su un giornale locale (!) dove dicono che lui si e’ curato in Cina. Potresti informarti su come sta?”. Ci penso un secondo. Telefonare a una persona sconosciuta, che ha avuto un tumore al cervello. Provo un senso di disagio. Ma lo faccio, Fulmine. Per te lo faccio. Come al solito ci impiego 5 minuti a trovare il numero. Risponde un uomo, con un forte accento del Nord. “No non sono io quella persona. E’ un caso di omonimia. Ma lo conoscevo. Purtroppo se n’e’ andato un anno e mezzo fa”. Riferisco con un senso di nausea che mi prende la bocca dello stomaco. Mia madre ha avuto un tumore al seno sette anni fa. Glielo hanno rimosso con una operazione pressoche’ ambulatoriale. Slash. Dopodiche’ e’ stata messa in chemioterapia. Poison. La chemioterapia consiste in delle fiale di diversi colori che ti vengono periodicamente iniettate. Gialla. Piu’ leggera. Rossa. Perdi l’appetito, i capelli, i peli sopraccigliari. Mia madre e’ poi guarita senza particolari problemi. I capelli le sono ritornati e la cosa e’ stata dimenticata. Poi, un mese e mezzo fa, un controllo di routine. “Faccio ancora un paio di lastre, per sicurezza”. E poi, due settimane fa, l’operazione. Slash. E ieri, il responso. Poison. Cosa ne sappiamo di questo male. Poco. Non ci vuole molto a capire che non si puo’ agire sulle cause, ma che si agisce invece grossolanamente sui sintomi. Fulmine ha fatto delle ricerche. In una mailing-list scopre che la storia di Jason, un ragazzo americano di Houston, che si e’ curato dal suo male con una terapia nuova, sviluppata da un medico di li’. Ti iniettano dei liquidi non tossici nel corpo tramite un catetere che ti entra nel petto con un tubicino di gomma. Una macchina te li pompa nelle giuste proporzioni nell’arco di tutta la giornata. Fulmine e’ stato a Houston. Fulmine ha iniziato quella terapia. Va in giro con un marsupio contenente “le bag”, come le chiama lui, e segue una dieta strettissima in cui non ci sono quasi tracce di zuccheri ( che sono cibo per il cervello, e quindi per il tumore ). Mangia solo cibi biologici. Carne e pesce di piccola taglia. Semi di lino, broccoli, cavolfiori, mirtilli. Beve undici litri di acqua al giorno. Dorme con una tanica a fianco del letto e si alza otto volte a notte per pisciare. Lui e la sua sposa dormono in letti separati. Alla periferia di Milano. Respirando i frutti dell’asfalto. Ha un tavolo coperto di confenzioni di pillole e integratori. Il suo tumore si e’ fermato. Ma lui vuole guarire. “Rudolph, questa settimana inizio un corso. E’ che devo capire come fare, perche’ ho paura di morire. Devo imparare a smettere di avere paura di morire”. Mangiamo a ristorante tutti insieme. Dei cibi a dir poco deliziosi. Insalata di rossetti bolliti. Un delitto mangiarli. Sono avannotti di triglia, lunghi tre centimetri e scottati nell’acqua bollente. Mia madre racconta come mio fratello non li mangierebbe mai, perche’ sono un danno enorme per il mare. Ma i rossetti ormai sono li’. E li mangiamo. Tortino di patate con le sarde. Besugo al forno con pinoli e olive. Una bottiglia di Pigato. Due. La conversazione e’ piacevole. La cena finisce con me e Fulmine che fumiamo una sigaretta e parliamo di lui. Sul lungomare. In una tranquilla e pacifica sera di Dicembre, con forse 15 gradi nell’aria e l’odore di salsedine. Nella piccola citta’ dove sono nato. Mia madre e’ alticcia. L’atmosfera e’ sinistra.
Fulmine mi dice che ormai lui vive la sua vita giorno per giorno. Io vorrei dirgli che lo faccio sempre, ma non posso. Parliamo del fatto che lui non fa altro che curarsi tutto il tempo. Che e’ ossessionato, giustamente, ma anche inconsapevolmente. Ho la cattiva idea di dirgli che non dovrebbe dormire da solo. Fulmine mi dice che lui guarira’, e che un giorno tutto questo sara’ un ricordo. Due sere dopo e’ venerdi’, e io sono quasi di partenza. Fulmine mi telefona chiedendomi di andare di nuovo a ristorante con lui e suo padre, ma questa volta vogliono che venga anche mio padre. Io lo ringrazio, ma gli dico che questa e’ la mia ultima sera a casa, e la voglio passare a casa. Ma lo invito a venire a cena con noi, con anche suo padre.
“Rudolph, io lo so che voi fate complimenti perche’ non volete che noi offriamo la cena. So che avete dei problemi economici. Ma per noi i soldi sono l’ultimo dei problemi”. Voglio stare a casa stasera. “Cosa vuoi che faccia, che mi presenti alle sette e mezzo con mio padre al citofono e che ti obblighi ad uscire?”. Voglio stare a casa. Questi sono i miei ultimi giorni di ferie e non so quando posso tornare qui. Ho bisogno di parlare con i miei genitori prima che me ne vada, e non di uscire a ristorante. “Ma insomma con tutto che vivi in un paese ultracivile, non puoi dire al tuo capo qual’e’ la situazione con tua madre e chiedere di poter prendere dei giorni extra di vacanza? Sono sicuro che ti dicono di si”. Per uscire a ristorante stasera? “Sei davvero egoista, pensi solo a te stesso”.
Sono passate due settimane. Ieri sera parlo con mia madre al telefono. E’ appena tornata da Milano, ha parlato con l’oncologa. Iniziera’ la chemioterapia a breve. Le faranno la gialla e le accoppieranno una terapia biologica. Una nuova terapia che si tollera bene. Poison.
Parliamo. Io ho paura. Non voglio che tutto questo succeda. Vorrei che lei valutasse bene questa scelta.
Mia madre e’ ferma. “Dicono che la devo fare”. Si dicono che la devi fare perche’ lo dicono a tutti, ma tu non devi farla se la fanno solo per sicurezza. “Che cosa vuoi che faccia? La medicina alternativa, come il tuo amico? Io mi fido della scienza”. Io vorrei solo che non ti facessero del male. Queste sono cose che devi decidere tu, e’ la tua vita. Ma loro non si preoccupano di questo. Loro dicono solo che questo e’ quello che si deve fare, perche’ non sanno come curare il male. “Loro dicono che se non la faccio, potrebbero generarsi delle metastasi al fegato o a polmoni. E allora li’ sono fritta. Ora dovro’ fare degli esami, tra cui un esame all’addome. Chi lo sa, figlio mio, forse quello e’ gia’ in giro da altre parti. Ora devo andare, sono tanto stanca. Perche’ non telefoni alla zia. Parla con la zia. E’ mia sorella. Ti vuole tanto bene”.
Mi metto a letto e mi tiro una sega. Sono rigido cone un baccala’.
La notte e’ oscura come l’inchiostro. La mia stanza e’ spettrale con le grandi finestre da cui trapela la luce del tetro palazzo di fronte, con le luci degli uffici impietosamente accese tutta la notte. In lontananza brillano delle luci gialle. E’ quasi natale. Il mio letto ha un coprimaterasso nero. Il silenzio e’ tombale. Non riesco a dormire. Sono teso. Rigido. Non respiro bene. Devo aver fumato troppo. Quando verra’ il mio turno? Domani devo svegliarmi alle 6. Non riesco a dormire. Mi sento terribilmente solo. Cosa ci faccio qui? Cosa devo fare? Cosa faro’ quando morirai, mamma? Con chi parlero’? Sto morendo anche io, con tutto questo dolore? Non ho piu’ nessuno. Chissa’ dove sei, Mari. Non ci sentiamo da tempo. Chissa’ se hai trovato qualcuno che ti rende felice. Chissa’ se non me lo vuoi dire perche’ non vuoi farmi del male. Chissa’ perche’ non sei qui a proteggermi. Vorrei mandarle un messaggio. Ma non ce la faccio. Mi giro nel letto, guardo l’ora periodicamente. E’ sempre piu’ tardi. Glielo mando. Sa gia’ che sto male, anche se non glielo dico. Mi dice che se stessi bene non le manderei un messaggio. Ma che se voglio parlare con lei, lei c’e’.
Io se stessi bene potrei parlare con lei. Mi addormento e faccio dei sogni complicati, oscuri e unti. E mi sveglio continuamente. Oggi non sono andato al lavoro.