La meta, la calma, oppure l’inferno.

Cara Maria.
Trovo finalmente lo slancio per scriverti.
Perdona il mio silenzio, a volte mi sento ermetico, anche se non so esattamente spiegare il perche’.
Il 2011 e’ stato un anno pieno di durezze e di solitudine.
L’ho trascorso in un dialogo con me stesso spesso circolare e ossessivo. Ho imparato la pazienza, e l’accettazione della negazione dei tuoi desideri, cosa cosi’ insolita per noi che viviamo nel mondo occidentale, cosi’ irrequieto proprio in questo ambito.
La distanza rende surreale tutto quello che succede a casa in Italia, e amplifica un gusto strano che hai in bocca, come di cemento o di oscurita’.
Fortunatamente ho avuto anche delle buone idee, e ho fatto delle esperienze molto positive. Una di queste esperienze in particolare e’ stata specialmente propedeutica.

Un weekend di settembre sono andato a fare un giro in barca a vela con dei ragazzi coi quali sono stato nel nord della Columbia questa estate. Ci siamo imbarcati da Vancouver verso le 6 in una calma sera di settembre e abbiamo alzato le vele verso la California. Il golfo di Vancouver e’ relativamente stretto e abbastanza lungo, punteggiato di isole e di boschi. La navigazione e’ stata tranquilla e quasi sonnolenta fino a circa mezzanotte. A quell’ora sono stato invitato a prendere il timone, e una brezza sottile ha cominicato a soffiare sempre piu’ intensa. Una bella sensazione, sotto le stelle, nell’oscurita’ piu’ totale, profumata di pini. Una barca di 50 piedi che si inclina dolcemente e che prende velocita’. Gli amici intorno a te che ti addolciscono lo stato di concentrazione con conversazioni tranquille e compiaciute. Poi siamo andati a dormire, mentre altri amici hanno preso il nostro turno. Alle 4 dobbiamo tornare di guardia.
Usciamo e si e’ scatenato l’inferno. Tutto e’ oscuro. Non una luce.
Onde di 3-5 metri. Il vento che soffia oltre 15 nodi. Espressioni ieratiche e un po’ di paura. Oltrepassiamo il faro della Fronda e siamo in mare aperto. Tutti iniziano a soffrire il mal di mare. La maggior parte di noi non riesce piu’ a controllare il proprio corpo. Per, un ex militare pilota di aerei a elica in una compagnia di linea del nord della Columbia, vomita per otto ore senza sosta. La prua della barca ha due lanterne, una verde e una rossa. Le guardo scomparire sotto le onde e riapparire a intervalli regolari. Non riesco pero’ a guardare davanti. Le onde nere mi spaventano e mi danno un senso di vertigine e di nausea. Guardo al lato della barca, verso l’orizzonte. Sta sorgendo il sole e sembra di guardare un inferno. L’orizzonte e’ in fiamme e le onde sono grandi e blu, con la schiuma che ora e’ dorata. Sopra di noi dei gabbiani volano tranquillamente, e io mi sento cosi’ piccolo. Sono le 8 del mattino. Sono stanco e ho fame. Scendo sottocoperta. E’ estremamente difficile stare in piedi. Pensare di farsi qualcosa da mangiare e’ inattuale. Provo a togliermi i vestiti. Non riesco, cado per terra una, due, tre volte. Comincio a sentire il mal di mare. Mi
siedo sul divano. Un onda stacca me e il cuscino dal divano e ci spinge di nuovo sul pavimento. Mi rassegno. Devo andare a dormire cosi’, subito, prima che il mal di mare prenda il controllo totale. Non e’ facile. Il mio letto e’ nella prua della barca. Divido la piazza con un ragazzo giovane, un fotomodello e velista e deputato del partito SV.
Ha intelligentemente tirato tutte le tende, in modo che sia piu difficile, eliminando i punti di riferimento, capire quanto stiamo oscillando. il letto e’ inclinato di 45 gradi. Mi infilo nel sacco a pelo con tutto addosso. Riesco a malapena a togliermi gli stivali. La nausea e’ intensa. Ho freddo e sudo. Simen mi rotola addosso. Lo guardo e ha le palpebre gonfie come due zampogne. Sento il bisogno di vomitare, ma controllo il respiro, mi impongo di rilassarmi. Espira a lungo, inspira lentamente e meno di quanto espiri. Lo stomaco mi si rilassa, ma non riesco a dormire. Il frastuono delle onde e dell’acqua sopra di me e intorno a me. Sono in un’oblunga scatola di plastica, nel mezzo dell’ oceano, chiuso in una buia cabina schiacciato contro lo scafo. Ho paura. Penso: “O qui arriviamo, oppure si calma il tempo, oppure andiamo all’ inferno”. Una parola mi da’ paura. Storm. Perche’ ora tecnicamente non siamo ancora in una tempesta. Ma potrebbe pure peggiorare. Sono microscopico. Espiro, espiro, espiro. All’improvviso non ho piu’ paura. O arriviamo, oppure si calma, oppure andiamo all’inferno. Non me ne importa piu’ niente. Stiamo a vedere. Mo’ vediamo. Venite avanti. E la cosa piu’ interessante e’ che da quando il mare si e’ alzato, non sono riuscito a fumare una sigaretta. Forse dovrebbero proporla come terapia per smettere. Entro in uno stato di dormiveglia in cui i sogni si alternano coi pensieri compenetrandosi e confondendosi.

Ora, mi scuso per questa lunga diversione.
Ma da quando ho fatto questa esperienza ho avuto molto meno paura.
E allo stesso tempo, questa esperienza rispecchia molto il mio stato d’animo. A volte non puoi controllare nulla. Nemmeno il tuo corpo.
Tutto e’ drammatico intorno a te. Ma tu devi rilassarti, fare del tuo meglio, e non desiderare nulla. E’ spesso molto difficile fare questo. Specie quando sento che le cose sono difficili a casa. Li’ sembra proprio che un onda copra le lanterne, per usare la stessa metafora. E’ una sensazione vertiginosa. E volendo c’e il senso di colpa pure. Perche’ dovrei prendermi cura della mia famiglia. Specie quando io non ne ho una mia, e quindi non ho nemmeno quella scusa. Ma come faccio.
Ma non posso fare altro che espirare, fare del mio meglio, sperare che vada bene. E accettare che sono solo, che sono single, che sono triste, che sono lontano da mia mamma e dai miei amici.

In questi giorni pero’ ho conosciuto qualcuno. Sono un po’ innamorato.
Non so come sara’. Se soffriro’ alla fine come tutte le altre volte.
Ma intanto espiro. Sto bene. Non importa.

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